Francesco esorta “pastori e fedeli laici a portare al mondo la luce di Cristo“. L’intero Magistero pontificio testimonia l’urgenza di manifestare la luce di Cristo nella vita quotidiana. La luce della fede, secondo Jorge Mario Bergoglio, “libera dal peccato e brucia il male che abbiamo nel cuore“. il Papa invita a imitare l’uomo cieco del Vangelo per illuminare, una volta ottenuta la vista, la propria vita e quella degli altri. Con la luce della fede colui che era cieco scopre la sua nuova identità. Spiega Francesco: “Egli ormai è una ‘nuova creatura’, in grado di vedere in una nuova luce la sua vita e il mondo che lo circonda, perché è entrato in comunione con Cristo, è entrato in un’altra dimensione. Non è più un mendicante emarginato dalla comunità; non è più schiavo della cecità e del pregiudizio. Il suo cammino di illuminazione è metafora del percorso di liberazione dal peccato a cui siamo chiamati”.
Il peccato è, del resto, una diminuzione per l’uomo stesso, in quanto gli impedisce di conseguire la propria pienezza. Nella luce di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima sia la sublime vocazione, sia la profonda miseria, di cui gli uomini fanno l’esperienza. La pastoralità dell’azione papale si basa sullo sforzo del dialogo con il mondo moderno e anche con i lontani, che alle volte sembrano apprezzarlo più di alcuni più vicini o vicinissimi, che manifestano le stesse paure degli avversari di Gesù che frequentava pubblicani e stranieri e accettava gesti di venerazione da prostitute. Quella di Francesco è una Chiesa che si preoccupa più degli altri che di se stessa. In dialogo prima di tutto con i fratelli separati. Più che una novità è la continuazione, con la stessa tenacia, di tutto il movimento ecumenico che il Concilio Vaticano II ha benedetto e rafforzato con i suoi documenti. Ne è una conferma il cambio di atteggiamento e di linguaggio verso gli ebrei, verso le Chiese non cattoliche e anche verso i musulmani e i fedeli di altre religioni, riconoscendo “semi del Verbo”, cioè elementi di verità e di bontà, anche nella loro fede.Foto di Monica Saavedra su Unsplash
Il peccato, avverte il Pontefice, è “come un velo scuro che copre il nostro viso e ci impedisce di vedere chiaramente noi stessi e il mondo”. Dunque “il perdono del Signore toglie questa coltre di ombra e di tenebra e ci ridona nuova luce”. L’invito allora, oltre a rileggere il capitolo nono del Vangelo di Giovanni, è quello di imitare l’uomo cieco, che ormai vede sia con gli occhi del corpo che con quelli dell’anima, per illuminare e brillare riflettendo la luce di Cristo, come nell’antico mistero della luna che si rende visibile in cielo perché riflette la luce del sole, raccontato dai primi cristiani. Ma non basta ricevere la luce, occorre diventare luce. “Ognuno di noi è chiamato ad accogliere la luce divina per manifestarla con tutta la propria vita- insegna Jorge Mario Bergoglio-. Ce lo ricorda San Paolo: ‘Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità’. Il seme di vita nuova posto in noi nel Battesimo è come scintilla di un fuoco, che purifica prima di tutto noi, bruciando il male che abbiamo nel cuore, e ci permette di brillare e illuminare”. Una lezione valida per l’Ecclesia a tutte le latitudini. Le parole di Dio, infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile agli uomini. Le Chiese latinoamericane e africane hanno un dinamismo che nel vecchio continente sembra essere andato perduto. L’Europa ha solide strutture, create pazientemente nei secoli, che i cattolici temono di perdere mentre hanno perso molto dello slancio missionario.
La testimonianza della vita cristiana e le opere buone compiute con spirito soprannaturale hanno la forza di attirare gli uomini alla fede e a Dio. Per papa Francesco, che non ha partecipato al Concilio, esso è un dato di fatto che egli dà per acquisito. Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si sono posti tutti nella linea del Vaticano II, cercando di attuarne le novità. Con la canonizzazione di Giovanni XXIII che aprì il Concilio e di Giovanni Paolo II che l’ha vissuto intensamente, ai quali ha aggiunto la canonizzazione di Paolo VI (che ha chiuso degnamente il Vaticano II e più ha sofferto per farlo realmente recepire), di fatto Francesco ha “canonizzato” il Concilio nelle figure dei suoi protagonisti e attuatori. La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio. Non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e non si affida al suo Creatore.