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La discriminazione al contrario

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L’ordinamento italiano già prevede tutti gli strumenti per reprimere ogni forma di discriminazione in base all’orientamento sessuale della persona. E’ quanto chiariscono i vescovi italiani intervenendo, con una nota ufficiale della Cei, in merito al ddl Zan sull’omotrans-fobia in discussione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati.

I presuli italiani intravedono nel disegno di legge i rischi di una deriva liberticida che andrebbe a stabilire nuovi reati di opinione. Una preoccupazione espressa in più occasioni da numerosi giuristi, politici, giornalisti e gruppi pro life e pro family che chiedono il ritiro immediato della proposta. Insomma con la scusa di combattere le discriminazioni si mettono le basi per crearne di nuove nei confronti di coloro che promuovono un’antropologia umana legata al diritto naturale.

La Conferenza Episcopale Italiana esprime le sue perplessità ribadendo tuttavia con forza che “le discriminazioni – comprese quelle basate sull’orientamento sessuale –costituiscono una violazione della dignità umana, che – in quanto tale – deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni”. Non c’è spazio dunque nella Chiesa cattolica per alcun tipo di giustificazione nei confronti di coloro che intendono perseguitare o emarginare le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso. Si afferma però che non esiste alcun vuoto normativo per impedire di reprimere questi reati, come dimostrano le tante sanzioni previste nel nostro codice penale e che sono state già applicate in casi di discriminazione omofobica. Non c’è quindi la necessità di costruire un soggetto giuridico iper-tutelato per via del suo orientamento sessuale.

A far riflettere circa la reale necessità di una normativa specifica contro l’omofobia sono anche i dati sugli atti discriminatori diffusi dall’Oscad, l’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori che fa riferimento al Ministero dell’Interno. Secondo il rapporto che raggruppa le segnalazioni giunte dal 2010 al 2018, gli episodi concernenti l’orientamento sessuale sono il 13 % del totale, contro 19% di atti per motivi di credo religioso e il 60% per razza ed etnia. In termini assoluti si tratta di 212 segnalazioni di discriminazioni omofobiche in otto anni, in media 26,5 ogni 365 giorni, molte delle quali nemmeno sono sfociate in denunce e tanto meno in condanne o sentenze passate in giudicato.

Ovviamente non serve specificare che anche un solo episodio di violenza mosso contro un omosessuale è un segno di barbarie va condannato e perseguito penalmente ma parlare di emergenza omofobica è un’evidente strumentalizzazione della realtà italiana.

Molto più numerose sono infatti le persone che subiscono discriminazioni per motivi razziali o religiosi, basta vedere l’aumento di vicende di vera e propria cristiano-fobia. Nel 2019 almeno 3000 edifici, monumenti e luoghi di culto cristiani sono stati vandalizzati in Europa. Una escalation che ha toccato soprattutto la Francia, la Germania e l’Irlanda.

In un altro passaggio della nota, i Vescovi esortano quindi a far maturare il dialogo e il rispetto in una cornice di libertà d’espressione, senza “polemiche o scomuniche reciproche” ma con “disponibilità a un confronto autentico e intellettualmente onesto”.

La preoccupazione che anche in Italia possa prendere forma una legge bavaglio avvalorata da quanto già avvenuto in altri Paesi Occidentali. L’ampia interpretazione e discrezionalità nell’applicazione da parte della magistratura potrebbe replicare dei casi già visti all’estero. In Spagna, ad esempio, l’arcivescovo di Malaga è stato indagato penalmente per aver affermato che la sessualità è destinata alla procreazione e che questa è impossibile all’interno di una coppia omosessuale. In Inghilterra un ostetrica è stata costretta a dimettersi dall’organizzazione nazionale per l’ostetricia perché ha osato dire che solo le donne partoriscono, affermazione ritenuta offensiva contro i trans.

Esiste dunque il fondato timore che una legislazione contro alcuni reati di opinione renderebbe impossibile l’agibilità politica e sociale di chi promuove il diritto del bambino ad avere una padre e una madre, di chi afferma che il matrimonio tra un uomo e una donna e aperto alla procreazione necessita di tutele diverse rispetto alle unioni civili; di chi riconosce che si nasce maschio o femmina e che l’identità sessuata biologica è un dato che non può essere relativizzato e di chi afferma che l’utero in affitto è un abominio contro la donna e il nascituro.

Il parlamento non potrà facilmente ignorare il sentire più profondo del popolo italiano ben interpretato dai vescovi, mettere su questo binario la giusta lotta alle discriminazioni significherà strappare ulteriormente il tessuto sociale del nostro Paese.

Marco Guerra: