L’articolo 1 della Costituzione italiana sembra essere diventato il mausoleo di un’epoca ormai finita. La Repubblica fondata sul lavoro è ormai un lontano ricordo, da sostituire con l’allocuzione “fondata sulla ricerca di un lavoro”. I dati Cnel (Consiglio nazionale Economia e Lavoro) sulla disoccupazione fotografano una situazione drammatica: il 44,2 per cento dei giovani sono disoccupati. Eppure non è il dato che sociologicamente fa più impressione: ciò che lascia sconcertati è quello sull’esercito di scoraggiati, cioè tutte quelle persone che hanno smesso di cercare un’occupazione. Sono oltre tre milioni, e danno il segno tangibile di un Paese che ha fallito nella sfida di motivare i propri ragazzi ancor prima dell’aspetto meramente occupazionale. Fino al 2013 l’equilibrio tra chi perdeva il lavoro e chi lo cercava era pressoché stabile, oggi anche quel parametro è saltato.
E così, mentre la politica si affanna a discutere ideologicamente sull’articolo 18 cresce sempre più la platea di chi si accontenterebbe di trovare uno straccio di articolo 1, ovvero l’assunzione a tempo indeterminato; ma anche quella a tempo determinato, se funzionasse come in Inghilterra, con un mercato del lavoro – specialmente part time – che consente un continuo ricambio e nuove opportunità. Oltremanica perdere il posto di lavoro non rappresenta un dramma, tanto che spesso diventa una scelta dello stesso dipendente, nella consapevolezza che rapidamente si presenta una nuova opportunità. Nel Belpaese, invece, la chiusura di un’azienda nella maggior parte dei casi vuol dire camminare a passo veloce verso l’indigenza e l’espulsione dal tessuto sociale. Con annesso aggravio di costi sociali indotti.
La flessibilità in italiano ha trovato un sinonimo terribile: precarietà. E quest’ultima impedisce anche di coltivare gli elementi basilari di una società sana: costruire un futuro, avere dei figli. Possiamo discutere sul fatto che spesso queste siano scuse per non prendersi responsabilità, che il relativismo attuale non mette il concetto di famiglia al primo posto ma lo subordina ad altri parametri. Resta il fatto però che la paura del futuro insita in ognuno di noi vede mancare uno dei pilastri sui quali poggiarsi. Su questo c’è un assordante silenzio da parte delle istituzioni, forse più presenti nei talk show che nella vita reale dei cittadini.