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La Chiesa difende i poveri su mandato di Cristo

Per tutta la scorsa settimana, dalle colonne di Interris.it sono rimbalzate sull’intero sistema mediatico nazionale le accorate sollecitazioni dell’arcivescovo di Fabriano e Camerino, Francesco Massara a difesa del lavoro. Nel Medio Evo al forestiero in cerca dell’episcopio si rispondeva: “Dove vedi la fila dei poveri, lì abita il vescovo”. Per i poveri papa Francesco ha istituito una giornata mondiale. Il Concilio Vaticano II fa riferimento alla povertà nella costituzione pastorale “Gaudium et Spes” (3, 69, 88). Di scelta prioritaria per i poveri si era iniziato a riflettere in un continente profondamente segnato da una presenza massiccia dei poveri. Ma soprattutto dall’emergere della loro coscienza sulla scena continentale. Era l’epoca in cui imperversavano in America Latina numerose dittature che ricorrevano a metodi repressivi nei confronti dei movimenti popolari. E in cui si installavano imprese multinazionali dal comportamento predatorio. Gli Stati Uniti esercitavano forti pressione sul Sud America. Il celebre rapporto Rockefeller (1969) e i successivi due documenti di Santa Fe esortavano l’amministrazione nordamericana a lottare contro la Teologia della liberazione, giudicata nefasta. A un certo numero di teologi e di pastori non appariva più possibile pensare la fede cristiana senza articolarla con una pratica sociale e politica che favorisse la liberazione dei poveri. Erano condotti a rileggere la Bibbia a partire dalla situazione dei poveri, pratica divenuta abituale nelle comunità ecclesiali di base. A poco a poco si costruì un discorso teologico che assegnava ai poveri un posto centrale nella comprensione della fede. E orientava verso la costruzione di una “Chiesa dei poveri” e a un cambiamento delle strutture sociali oppressive. La teologia della liberazione trasformò la scelta preferenziale per i poveri nell’asse centrale della propria riflessione. Ma da Roma arrivarono alcune correzioni sotto forma di due documenti della Congregazione per la dottrina della fede, allora presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger. Il primo (Istruzione LN 1984) è di impianto fortemente critico, il secondo (Istruzione LC 1986) è più costruttivo.
Uno dei rimproveri principali mossi alla teologia della liberazione,
e quindi anche alla sua concezione della scelta preferenziale
per i poveri, è il riferimento al marxismo. In contrasto con i teologi della liberazione, il primo documento respinge ogni posizione secondo cui sarebbe possibile utilizzare gli strumenti
concettuali del marxismo senza accettarne l’ideologia
generale e l’ateismo. L’altro rimprovero principale è di ridurre
la fede cristiana a una prospettiva di liberazione temporale, sociale
e politica. Sarà proprio il primo papa della storia proveniente
dall’America Latina a chiarire che avere cura di chi è
povero non è comunismo, è Vangelo. Jorge Mario Bergoglio ribadisce che il Nuovo Testamento non condanna i ricchi, ma l’idolatria della ricchezza. E che il nostro sistema si mantiene con la cultura dello scarto, così crescono disparità e povertà.  Lo hanno chiamato “marxista”, “comunista” e “pauperista”. Le parole di Francesco sulla povertà e sulla giustizia sociale, i suoi frequenti richiami all’attenzione verso i bisognosi, gli hanno attirato critiche e anche accuse talvolta espresse con durezza e sarcasmo. Il capitalismo come lo stiamo vivendo negli ultimi decenni non è, secondo Francesco, un sistema irreversibile. “Riconosco che la globalizzazione ha aiutato molte persone a sollevarsi dalla povertà, ma ne ha condannate tante altre a morire di fame“, spiega Francesco-. È vero che in termini assoluti è cresciuta
la ricchezza mondiale. Ma sono anche aumentate le disparità
e sono sorte nuove povertà. Quello che noto è che questo sistema
si mantiene con la cultura dello scarto. C’è una politica, una sociologia, e anche un atteggiamento dello scarto“. Quando al centro del sistema non c’è più l’uomo ma il denaro. Quando il denaro diventa un idolo. Allora gli uomini e le donne sono ridotti a semplici strumenti di un sistema sociale ed economico caratterizzato, anzi dominato da profondi squilibri. E così si scarta quello che non serve a questa logica. E’ quell’atteggiamento che scarta i bambini e gli anziani, e che ora colpisce anche i giovani. “Mi ha impressionato apprendere che nei Paesi sviluppati ci sono tanti milioni di giovani al di sotto dei 25 anni che non hanno lavoro“, precisa il Pontefice. “Li ho chiamati i giovani ‘né-né‘, perché non studiano né lavorano.
Non studiano perché non hanno possibilità di farlo. Non
lavorano perché manca il lavoro. Ma vorrei anche ricordare
quella cultura dello scarto che porta a rifiutare i bambini anche
con l’aborto”.

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