Fatti salire a bordo i capi di Stato e di governo (che l’hanno nominata) e superato lo scoglio degli eurodeputati (che l’hanno confermata), ora per Ursula von der Leyen, presidente rieletta della Commissione europea, inizia il viaggio che la porterà entro la fine anno a insediarsi per altri cinque anni al Berlaymont con una nuova squadra di 26 commissari e commissarie, oltre a lei stessa.
Con l’accelerazione da parte delle istituzioni Ue per la conferma di von der Leyen dopo le elezioni europee del 6-9 giugno (sono bastati solo 38 giorni tra il risultato delle urne e il voto alla plenaria del Parlamento Ue), i tempi si possono stringere per formare e approvare un Collegio dei commissari entro l’autunno, con l’insediamento in vista il primo dicembre.
Per quanto riguarda i tempi di questo processo, è stata la stessa presidente von der Leyen a spiegare quanto accadrà nel futuro imminente, un altro tour de force dopo quello già compiuto nelle tre settimane esatte che hanno separato la sua nomina in Consiglio Europeo (il 27 giugno) dalla sua conferma nell’emiciclo di Strasburgo ieri (18 luglio). “Nelle prossime settimane chiederò agli Stati membri di proporre i candidati commissari, un uomo e una donna“, è stata l’anticipazione in conferenza stampa al termine della votazione degli eurodeputati. Questa fase preparativa durerà circa tre settimane, dopodiché “li ascolterò a metà agosto“, ha aggiunto la presidente tedesca della Commissione Ue, che ha già messo in chiaro alcuni standard per il nuovo Collegio: “Voglio scegliere i migliori che condividono l’impegno europeo, e in termini di numeri ci sarà parità tra uomini e donne“.
A proposito delle proposte degli Stati membri, già nelle settimane successive alle elezioni europee di giugno sono iniziate ad arrivare le prime candidature, che però al momento non rispettano la richiesta della presidente rieletta von der Leyen – uguale a quella fatta anche nel 2019 – di un uomo e una donna.
Oltre alla Germania che, appunto, esprimerà la presidenza della Commissione con Ursula von der Leyen e all’Estonia che vedrà la premier uscente, Kaja Kallas, diventare Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, la Slovacchia ha candidato il vicepresidente uscente Maroš Šefčovič, la Lettonia il vicepresidente uscente Valdis Dombrovskis, la Slovenia l’avvocato ed economista Tomaž Vesel, l’Irlanda l’ex-ministro delle Finanze, Michael McGrath, la Svezia la ministra per gli Affari Europei, Jessika Roswall, e la Finlandia l’eurodeputata popolare Henna Virkkunen. L’Italia non ha ancora reso noto il candidato ufficiale, ma dando ascolto alle voci di corridoio il commissario dovrebbe essere il ministro Raffaele Fitto, titolare del dicastero degli Affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr, espressione del partito Fratelli d’Italia.
Secondo quanto previsto dai Trattati Ue, i commissari europei – uno per ciascun Paese membro – sono designati in accordo tra la presidenza della Commissione Ue e gli Stati membri, che li suggeriscono sulla base di “competenza generale”, “impegno europeo” e “garanzie di indipendenza”. L’elenco dei commissari viene adottato dal Consiglio dell’Unione europea e ciascuno deve superare anche il voto al Parlamento europeo. È chiaro, dunque, che non va considerata solo la composizione politica del governo che nomina il suo candidato, ma anche quella della maggioranza che regge la Commissione al Parlamento Europeo.
In altre parole, un governo sbilanciato a destra non potrà non tenere in considerazione il fatto che dovrà incassare l’approvazione anche del centrosinistra: è il caso, per esempio, del governo italiano di Giorgia Meloni, che dovrà cercare un nome digeribile anche per il Partito Democratico, che nella nuova legislatura costituisce la delegazione più numerosa all’interno del gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D).
Ma sul tavolo, o meglio nelle intenzioni della Meloni, non c’è solo Fitto. In occasione dell’incontro tra la premier, Giorgia Meloni, e il presidente del Consiglio europeo in pectore, Antonio Costa, Palazzo Chigi ha ribadito che l’obiettivo non dichiarato dell’Italia era quello creare le condizioni per un primo disgelo tra Italia e Ue, all’indomani della conferma di Ursula von der Leyen alla testa della Commissione e, soprattutto, del “no” di Fratelli d’Italia. Un voto contrario che, lo scorso giugno, l’Italia ha certificato anche sullo stesso Costa, scelto favorevolmente, invece, da tutti gli altri Paesi membri. Alla fine del faccia a faccia, Palazzo Chigi ha diffuso una nota Il presidente del Consiglio Giorgia in cui Meloni “ha ribadito i propri auguri di buon lavoro al presidente Costa esprimendo apprezzamento per il proposito di assicurare una leadership condivisa e pragmatica del Consiglio europeo“.
Al centro del colloquio, si legge in una nota di palazzo Chigi, “le priorità di azione Ue per il prossimo ciclo istituzionale, a partire dai principali scenari di crisi a livello internazionale e dai temi della competitività e della gestione dei flussi migratori”. Sono stati discussi allo stesso tempo i “metodi di lavoro del Consiglio Europeo, con l’obiettivo di valorizzarne ulteriormente il ruolo e l’efficacia”. Nelle prossime settimane la premier tornerà a parlare anche con von der Leyen, in vista dell’indicazione dei due profili – un uomo e una donna – per il ruolo di commissario. È difficile, tuttavia, che l’Italia abbia una vice presidenza esecutiva. Il commissario al Bilancio e al Pnrr resta forse l’obiettivo massimo a cui può aspirare il governo, senza disdegnare il portafoglio della Coesione o della Sburocratizzazione come alternative.
Meloni “non si è trovata d’accordo sul programma, ma ha ampio margine per trattare sui ruoli in commissione e ha noi, nel Ppe, che rappresentiamo la seconda forza del governo”, ha spiegato Antonio Tajani. Il ministro degli Esteri, tuttavia, ha davanti a sé una strada in salita: nei Popolari c’è chi, dopo il voto all’Eurocamera, vorrebbe spingere ai margini Meloni nel segno di una maggioranza a trazione europeista e impermeabile alle influenze dei partiti sovranisti.