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Invio armi a Kiev: il primo tassello è nelle mani dei parlamentari

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Ci mancava solo la tecnologia a complicare le cose. Il collegamento del premier, Mario Draghi, con l’Eliseo per la cena tra il presidente francese Emmanuel Macron, la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e il cancelliere tedesco Olaf Scholz è saltato per problemi tecnici. Lo spiegano fonti di Palazzo Chigi. Nel pomeriggio il presidente del Consiglio italiano era intervenuto in videoconferenza a una call di coordinamento con i leader di G7, Commissione e Consiglio Ue, Polonia, Romania e segretario generale Nato. Insomma, la pace sarebbe davvero appesa a un filo. Un filo teso, certo, ma fondamentale.

Fuor di metafora resta strategico l’impegno del nostro presidente del Consiglio. Draghi ha partecipato ad una conversazione telefonica, organizzata da parte americana, con il presidente Biden, il presidente Macron, il cancelliere Scholz, il Primo ministro Johnson, il Primo ministro Trudeau, il Primo ministro Kishida, il presidente Duda, il presidente Iohannis, il presidente del Consiglio europeo Michel, la presidente della Commissione Europea von der Leyen e il Segretario generale della NATO Stoltenberg. E’ stata ribadita, spiegano fonti di Palazzo Chigi, la più ferma condanna per la brutale e ingiustificata aggressione nei confronti dell’Ucraina, alla quale è stata da tutti assicurata la più grande solidarietà. Nel riaffermare l’importanza della coesione e dell’unità di intenti sin qui dimostrata, sono state passate in rassegna le iniziative sinora adottate per sostenere il popolo e le istituzioni dell’Ucraina sul piano umanitario, economico e militare; le decisioni attuate in ambito NATO e le sanzioni disposte nei confronti della Federazione russa.

Fra i partiti, invece, la situazione non va allo stesso modo, essendo in corso una vera e propria operazione unanimità. E’ quella che sta tentando la maggioranza e tutto il Parlamento rispetto alla guerra in Ucraina e all’impegno che chiederà al governo con una risoluzione unitaria. Si spera, perché resta qualche distinguo e mal di pancia: non convince l’invio di armi a Kiev. Non elmetti e giubbotti anti proiettili, ma armi di peso come missili e mitragliatrici. A storcere il naso sono 5 Stelle, Lega e Sinistra italiana in nome della priorità della diplomazia e del rischio di strumentalizzazioni che portino a un maggiore coinvolgimento italiano nel conflitto. Tuttavia dal partito di Matteo Salvini arriva la promessa che il voto alla mozione ci sarà. Ma è soprattutto per dare un segnale di “compattezza e per confermare il senso di responsabilità”, si precisa lasciando agli atti l’invito alla cautela e l’auspicio che “alle bombe si sostituisca la diplomazia”. Fiducioso che si arriverà a un testo condiviso è pure Giuseppe Conte. “Vi dimostreremo che siamo compatti in una posizione di assoluta responsabilità”, assicura alludendo ai dubbi espressi da alcuni parlamentari, compreso il presidente della commissione Esteri del Senato, Vito Petroncelli, orientato al dissenso.

In realtà il sì al documento è fondamentale per far passare il decreto varato all’unanimità nel Consiglio dei ministri, per la cessione “in deroga” di mezzi ed equipaggiamenti militari, purché ci sia la “previa risoluzione delle Camere”. Sta in questa espressione, usata nella bozza del decreto, la mediazione del governo per arginare le divisioni interne. L’escamotage consisterebbe nell’incassare l’ok di Camera e Senato – a cui riferirà il premier Mario Draghi – necessario per consentire di passare la palla alla Difesa. Toccherà quindi al ministro Lorenzo Guerini adottare un decreto interministeriale (con Esteri e ministero dell’Economia) che indichi l’elenco delle armi concesse alle autorità governative ucraine, che dovrà avvenire fino al 31 dicembre.

Il primo tassello però è nelle mani dei parlamentari che si esprimeranno sulle comunicazioni del presidente del Consiglio. E vista l’eccezionalità della situazione, il confronto ha coinvolto anche le forze di opposizione. Nella mattinata di ieri Fratelli d’Italia ha partecipato a un incontro con tutte le forze politiche (pronti a sostenere la linea del governo anche sulle armi) e un altro è atteso per chiudere il cerchio sul testo. Ma è nella maggioranza che si annidano timori e differenze. In prima linea, Matteo Salvini che però a 24 ore dal rifiuto secco delle armi letali, alla fine si allinea. Il segretario leghista va ad Assisi, in visita personale alla basilica di san Francesco, e annuncia che sposerà “qualsiasi proposta” del governo. Per Lia Quartapelle del Pd i distinguo “sono solo un danno per Salvini”. “Noi siamo pronti a dare il contributo affinché la diplomazia vinca e la pace trionfi”, si impegna Enrico Letta, sostenitore della prima ora del supporto anche militare a Kiev. Contrarissimo invece Nicola Fratoianni di Si: “Le bombe chiamano altre bombe. E non aiutano la pace. Aggravando le conseguenze drammatiche per i civili”. Sul voto della mozione non si esprime, ma si continua a mediare cercando di sfumare il più possibile sulle parole per strappare il maggior numero di consensi. Un’altra opzione potrebbe essere il voto per parti separate del testo.

A dividere è anche l’eventuale ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea, su cui sembrava esserci all’inizio un’accelerata del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. Scettico Salvini perché “bisogna essere cauti, prudenti e ragionevoli”. Idem per Licia Ronzulli, numero due di Forza Italia al Senato: la mossa potrebbe passare per una “provocazione” e sarebbe controproducente.

Enrico Paoli: