Novità e cambiamenti sono desiderati e temuti dagli umani; e se per alcuni di noi ogni novità è comunque buona (è il caso degli “entusiasti”), per altri anche il più piccolo cambiamento alimenta ansia e chiusure (è il caso degli “impauriti”). E’ sempre stato così; oggi, però, la velocità e la complessità che caratterizzano questo tempo rendono più difficile il lavoro tipicamente umano del discernimento e della decisione.
Il caso della Intelligenza artificiale è al riguardo emblematico ma anche decisivo, e non per caso se ne è parlato al recente G7, al quale il Papa ha offerto una riflessione attenta e documentata, che citerò spesso in questo breve articolo. Perchè la IA rappresenta “una vera e propria rivoluzione cognitivo-industriale, che contribuirà alla creazione di un nuovo sistema sociale caratterizzato da complesse trasformazioni epocali”; “il suo uso influenzerà sempre di più il nostro modo di vivere, le nostre relazioni sociali e nel futuro persino la maniera in cui concepiamo la nostra identità di essere umani” (il corsivo è mio).
Gli umani hanno sempre inventato utensili capaci di migliorare la qualità della loro vita. Dalla invenzione del coltello e della ruota in poi. Strumenti per la vita, ma anche strumenti di morte, a seconda dell’uso. E’ ora il caso dell’IA, che però non è soltanto una tra le tante nostre invenzioni. Perchè mai in passato abbiamo inventato uno strumento così complesso; si tratta, anzi, di uno strumento sui generis, e l’IA “può adattarsi autonomamente al compito che le viene assegnato e, se progettata con queste modalità, operare scelte indipendenti dall’essere umano per raggiungere l’obiettivo prefissato”. E l’esempio più drammaticamente attuale – al quale il Papa si era già riferito nel Messaggio del primo gennaio per la Giornata mondiale della pace – è ancora una volta quello della guerra: “In un dramma come quello dei conflitti armati è urgente ripensare lo sviluppo e l’utilizzo di dispositivi come le cosiddette ‘armi letali autonome’ per bandirne l’uso. Nessuna macchina dovrebbe mai scegliere se togliere la vita ad un essere umano” (così Francesco al G7).
E mi torna in mente il salmo: “Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato” (sal 8,5-6). Sono parole che aiutano il pensiero. Perchè l’uomo non è una macchina (se ci dovessimo confrontare con la potenza delle macchine che abbiamo inventato, ne usciremmo perdenti!) e nemmeno un animaletto intelligente. E’ figlio; creatura amata e libera, e la libertà” è nell’uomo segno altissimo dell’immagine divina. Perciò la dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali, e non per un cieco impulso interno o per mera coazione esterna” (GS n. 17). E l’uomo non solo sceglie (anche la macchina è in grado di scelte algoritmiche tra più possibilità), ma anche è capace di decidere, perché così da sempre lo ha sognato.
Ecco allora quello che spero e penso possa avvenire: che un uso “umano” della IA possa generare libertà (come titola un bel libro di Giaccardi e Magatti), e non forme raffinate di nuove dipendenze. Se solo pensiamo alle inedite possibilità diagnostiche in ambito medico offerte dalla IA o alla possibilità di democratizzare l’accesso al sapere non possiamo essere felici. Ci è chiesto però di non dimenticare l’origine della nostra libertà: perché, grazie a Dio, non siamo onnipotenti, e quando cerchiamo di esserlo diventiamo pericolosi e anche un po’ ridicoli!
Occorre allora, con il Papa, essere chiari: “La cosiddetta intelligenza artificiale generativa, in senso stretto, non è propriamente generativa. Non sviluppa concetti o analisi nuove. Ripete quelle che trova, dando loro una forma accattivante. Più che generativa, essa è quindi rafforzativa”. E allora penso ai ragazzi che vanno oggi a scuola, e spero che non si limitino a ripetere nozioni, ma siano capaci di pensiero critico e anche trasgressivo. Che siano capaci di quel “più in là” (Montale) che ancor oggi attraversa la poesia, l’arte, il cinema. Quel “più in là” che ci fa veramente umani.
Ed è per questo che è urgente elaborare una algoretica, capace di custodire e venerare l’umanità dell’uomo. Non avremo allora nulla da temere dalla IA, che anzi ci aiuterà ad abitare con dignità questo cambiamento d’epoca. E la parola del profeta, che certo non pensava alle macchine da noi inventate, potrà essere citata anche in questo tempo nuovo: “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19).