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Cosa ha determinato la decrescita della fiducia degli imprenditori europei nel manifatturiero

Sono stati rilasciati i dati relativi all’indice di fiducia delle PMI (Piccole e medie imprese manifatturiere) che nel mese di agosto si sono abbassati in Francia, Germania (dove è ai minimi da sei mesi), Gran Bretagna e anche in Italia, paese che registra pure una perdita di fiducia da parte dei consumatori, dovuta alla persistente circolazione delle varianti. Tutti coloro che credevano nelle “magnifiche sorti e progressive” della ripresa si sono allarmati, comprese le borse. Proviamo a capire quanto ci sia davvero da allarmarsi.

Va innanzitutto ricordato che si tratta solo di un indice manifatturiero, mentre i servizi ultimamente hanno fortemente rialzato la testa. Certamente finora il manifatturiero ha trainato la ripresa, anche perché troppi servizi erano chiusi, ma non ci si può focalizzare solo su quel settore. I dati complessivi sull’andamento del PIL (Prodotto Interno Lordo, ossia la produzione di un paese) vengono rilasciati su basi più “oggettive”, ad intervalli meno frequenti, e sono quelli che davvero contano, mentre gli indici di fiducia settoriali sono basati su aspettative soggettive e hanno tempi di reazione accelerati e molto volatili (ancor più volatili sono gli indici di fiducia dei consumatori).

Possiamo chiederci però che cosa abbia fatto decrescere la fiducia degli imprenditori manifatturieri nella continuità della ripresa. Il problema principale è la carenza di materie prime rare e di microprocessori, una carenza dovuta alla elevata domanda, ma soprattutto a molti “buchi” nell’offerta internazionale. La globalizzazione basata sui prezzi bassi e sulle grandi quantità aveva premiato soprattutto la Cina e gli altri paesi asiatici, che sfruttavano una forza lavoro disciplinata e con bassi salari ed erano stati in grado di “montare” un apparato logistico poderoso che aveva vinto qualunque competizione.

Ora che si ritrovano a dover combattere contro il Covid e a dover scontare inefficienze di varia natura, non sono più in grado di eccellere nelle consegne, mentre i paesi occidentali sono penalizzati dall’abbandono di varie filiere di produzione e dai mancati investimenti. Queste carenze porteranno sul medio e lungo periodo ad un ripensamento della globalizzazione, già messa sotto pesante critica per le delocalizzazioni che ha provocato e per i suoi negativi effetti sociali, con una riorganizzazione di filiere più corte e geograficamente localizzate.

In ogni caso, ritengo che si tratti di un rallentamento modesto sull’aggregato, che potrà solo un po’ ritardare le previsioni di “tornare” ai livelli di PIL pre-Covid a fine 2021-primo trimestre 2022. Il vero problema però non è “tornare” ai livelli precedenti, ma essere capaci di superarli con un processo di sviluppo impostato su basi nuove e sostenibili. È un percorso assai più difficile, ma l’unico che salverà il mondo. Dobbiamo davvero sperare di esserne capaci.

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