L’incremento dei dazi statunitensi che si sta ventilando in questo periodo storico, ovvero l’innalzamento delle tasse sull’importazione di beni e servizi, porta con sé due pericoli. Il primo riguarda l’aumento dei costi per esportare le merci italiane verso quei luoghi in cui, le nostre aziende, operano molto e, di conseguenza, ciò sarebbe un duro colpo verso il nostro Paese. Inoltre, sussiste un’altra questione molto sottovalutata, la quale riguarda la rivalutazione del dollaro americano che, allo stato attuale, è già arrivata al 7% in più rispetto all’euro, andando ad incidere sul relativo cambio. Questo significa che, l’acquisto delle materie prime essenziali per la nostra economia il quale, allo stato attuale, avviene in dollari, significa pagare di più ciò che importiamo, andando a proiettarsi negativamente sull’intero ciclo economico e gravando sulle imprese e sui cittadini, anche con una conseguente ricaduta di tipo inflattivo.
Occorre ribadire che, un aumento senza controllo dei dazi, ridurrebbe il potere d’acquisto dei cittadini e, di conseguenza, anche la domanda di tali prodotti. Le imprese che dipendono da materie prime e componenti esteri possono subire danni, in quanto i costi di produzione aumentano, mettendo a rischio la competitività e la crescita economica. Tutto questo, soprattutto per quanto concerne le piccole e medie realtà imprenditoriali, ha un impatto molto negativo, che può riflettersi in una diminuzione della domanda e in una fatica a fronteggiare l’aumento dei costi, portando quindi a possibili perdite sotto il profilo occupazionale. Tutto ciò, inoltre, si tradurrebbe in possibili aumenti generali per le famiglie nell’ordine dei 350 e fino ai 400 euro in più all’anno. Questo elemento è assai grave e occorre che, tutti gli attori in campo, si adoperino per scongiurare questa eventualità, evitando così di pregiudicare la crescita economica e salvaguardando l’occupazione lavorativa.