In politica, a volte, ci sono segnali da decifrare con estrema rapidità. Quelli lanciati dall’eminente quotidiano francese Le Monde, per esempio, è uno di quelli. “La leader d’estrema destra Giorgia Meloni presenta un governo destinato a rassicurare i partner di Roma”, titola il giornale. “La nomina di personalità esperte e filoeuropee nei posti chiave (Esteri, Europa, Economia) segna una forma di continuità, mentre la priorità del nuovo esecutivo sarà la situazione economica”. Le Monde sottolinea che “nelle prossime settimane, Giorgetti avrà la responsabilità di supervisionare la messa a punto della finanziaria per il 2023. Dovrà rispondere alla sfida pressante di sostenere le famiglie e le imprese, colpite dall’inflazione, in particolare sui prezzi dell’energia, pur esibendo prudenza nella gestione delle finanze pubbliche”.
Insomma, pur mettendo in evidenza alcune oggettive difficoltà, i francesi non si limitano ad una semplice apertura di credito nei confronti del nuovo governo, ma pongono le basi per un forte riallineamento dei piani di lavoro. Non a caso Guido Crosetto, il ministro di Giorgia impegnato dietro le quinte nella preparazione del lavoro che dovrà unire Meloni ed Emmanuel Macron, mette le cose in chiaro. “Chi va al governo rappresenta l’intera nazione, smette gli abiti della parte e si assume quelli della responsabilità collettiva e quello che noi porteremo avanti come governo sarà questo”, spiega il nuovo ministro della Difesa, uscendo dal Quirinale dove ha giurato. “Sento il senso del momento, la consapevolezza della difficoltà che aspetta chi rappresenta in questo momento la nazione e il peso della responsabilità di sessanta milioni di persone, non solo di una parte”.
Dunque è il momento di mettersi al lavoro. Domenica 23 ottobre, alle 10,30, a Palazzo Chigi è in agenda la tradizionale cerimonia del passaggio di consegne tra il presidente uscente, Mario Draghi, e il presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni. Al termine della cerimonia, alle 12, si terrà la prima riunione del Consiglio dei ministri. Che non sarà una pura formalità. La premier punta a mettere sul tavolo, almeno queste sono le intenzioni, i titoli dell’agenda dei primi cento giorni di governo, fondamentali per rassicurare il Paese è mandare un segnale forte agli alleati europei. Non solo. Lunedì, con la riapertura delle borse, anche gli operatori economici diranno la loro su questo governo e sulle prime indicazioni operative.
In politica i segnali sono importanti, anche quelli da decifrare. Perché quella dell’esecutivo in carica sarà una corsa forsennata, senza un minuto di pausa, in modo da affrontare l’intricato groviglio di emergenze economiche e sociali, scadenze incombenti e improcrastinabili e nodi di politica estera. In testa alla lista dell’agenda dei primi cento giorni il quarto decreto Aiuti per la drammatica crisi dei prezzi del gas e la complessa legge di Bilancio da almeno 50 miliardi da approntare, con il taglio del cuneo, il fisco e le pensioni come primi punti da svolgere. Ma nelle urgenze rientrano anche l’invio di nuove armi all’Ucraina, e la partecipazione in corsa ai summit europei e al G20. Quanto ai nuovi ministeri, sovranità alimentare, merito e natalità (come prevede il lessico della destra), anche per loro l’agenda non è semplice.
Ma il punto cruciale resta l’emergenza gas, con tetto e nuovo decreto. Per affrontare l’inverno del caro-energia non basterà dare corso al Decreto Aiuti-ter varato dal governo Draghi. Nell’immediato servirà un rafforzamento delle misure per famiglie e imprese: solo la proroga degli interventi in corso costerebbe per il solo mese di dicembre 4,7 miliardi, e per il primo trimestre del nuovo anno ne occorreranno altri 14-15 miliardi. Ma se il nuovo governo vorrà ampliare il raggio di azione dovrà essere mobilitata una massa di risorse non inferiore ai 30 miliardi di euro. In Europa si dovrà arrivare al dunque su price cap e piano di razionamento, ma non è da escludere un intervento a livello nazionale. Una soluzione a breve che, però, implicherà scelte decisive nei prossimi mesi per i rigassificatori, le rinnovabili e il ritorno al nucleare. Sempre in chiave anti caro-prezzi si dovrà affrontare la perdita del potere d’acquisto dei salari. Sono tutti d’accordo che una via d’uscita per mettere un po’ di soldi in tasca ai lavoratori, senza gravare sui bilanci delle imprese, sia necessaria, ma il come è tutt’altro che facile.
Certo, è facile immaginare che questo non sia proprio il governo più vicino ideologicamente al Mattarella cattolico progressista, attentissimo ai diritti, alle minoranze e a tutte le tematiche sociali. Ma “l’arbitro” tale è rimasto come quando varò un inimmaginabile governo giallo-verde con Salvini e Di Maio alleati. Infine, forse è questo il punto fondamentale, ogni giorno perso era un problema per l’immagine dell’Italia, allarmava i mercati e rimandava scelte di politica economica che il Quirinale ritiene urgentissime. Tutti al lavoro, quindi, per aggredire le emergenze, a partire dal caro-bollette. In primis Chigi che ha un compito da far tremare le vene nei polsi da eseguire in tempi stretti. E il Quirinale che attraverso Sergio Mattarella si è costruito in questi lunghi anni una credibilità internazionale tale da puntellare ogni crepa d’immagine.
Un po’ per caso e un po’ no, si riparte a razzo e già nelle prossime ore il presidente incontrerà per ben due volte il presidente francese Emmanuel Macron. Il capo dell’Eliseo si trova a Roma per partecipare insieme a Mattarella ad un importante evento della Comunità di sant’Egidio, associazione bandiera di un cattolicesimo aperto ed inclusivo che non è esattamente quello che si evince guardando alcuni ministri che oggi hanno giurato al Quirinale. Ma la Francia rimane un partner fondamentale per qualunque Paese in Europa e per qualunque governo. Per questo anche Giorgia Meloni, ora che è ufficialmente in carica, sta valutando la possibilità di avere un primo contatto con l’inquilino dell’Eliseo. Ma intanto c’è Mattarella a perfezionare la sua già stretta rete di relazioni internazionali. Subito dopo Macron, il presidente volerà nei Paesi Bassi per un’articolata visita di Stato nella quale avrà modo di confrontarsi anche con uno dei “duri” d’Europa, il premier olandese Mark Rutte. Una sorta di “signor no” per le dinamiche dei Paesi mediterranei, alla guida di un Paese satellite dell’ala oltranzista tedesca con cui Mario Draghi si è scontrato fieramente in queste settimane. Anche laggiù il presidente potrebbe fare da apripista per le future battaglie europee di Meloni e Tajani.