La guerra che si combatte in Ucraina, come ha detto papa Francesco al rientro del suo viaggio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan, non è l’unica. Da dodici, tredici anni la Siria è in guerra; da più di dieci anni lo è anche lo Yemen. Nell’America Latina, si contano molteplici focolai di guerra. Ci sono nel mondo guerre che non fanno notizia e, tuttavia, causano morti e stragi. Occorre che tutti collaborino insieme, non esclusi i cattolici.
Perché l’azione dei cattolici sia più incisiva è necessario un nuovo modo di presenza nelle società civili, nei parlamenti, nelle relazioni internazionali e multilaterali, sovranazionali. Per inquadrare l’emergenza globale serva una riflessione attenta e articolata, senza tortuosità ed equivoci, sulla situazione attuale dell’impegno politico dei cattolici, sulle sue premesse teologiche, ecclesiologiche, piuttosto neglette o non sviscerate a sufficienza. Seppur importantissime, le preghiere, le riflessioni e le marce della pace, vanno integrate dall’impegno concreto della cultura e della politica, a livello delle istituzioni nazionali, internazionali, sovranazionali e multilaterali. Occorre convergere su un ben definito progetto politico, connotato da un insieme di punti qualificanti, armonizzati attorno al perno di un neoumanesimo trascendente, ispirati dalla Dottrina o Insegnamento sociale della Chiesa.
Che la guerra in Ucraina finisca con l’intensificazione dell’azione diplomatica o con un cessate il fuoco immediato, anche senza un ritiro preventivo delle truppe russe, è sicuramente fortemente auspicabile. È ciò che la stragrande maggioranza si augura, per il bene dei popoli in conflitto, dell’Europa e del mondo intero. Ma ciò che è molto più importante è che una volta che sia cessata l’attuale guerra fratricida – poco si è sottolineato che i Paesi in lotta tra loro sono cristiani – si riesca a rafforzare la via della non violenza attiva e creatrice tenendola agganciata costantemente all’impegno dei cittadini e, quindi anche dei cattolici, in politica. Ciò al fine di universalizzare una democrazia sostanziale, rappresentativa, partecipativa e deliberativa, animata da un pensiero pensante e aperta al Trascendente.
Occorre sia superare l’insensata teoria della diaspora – finisce per contraddire il principio democratico della maggioranza: chi è minoranza difficilmente può vedere accolte le proprie istanze – sia la conseguente irrilevanza dei cattolici e dei cristiani in politica. La politica vissuta da circa 2,4 miliardi di cristiani, sia pure secondo diverse intensità culturali e in vari Paesi ed istituzioni, a livelli differenti, alla base o ai vertici, potrebbe esprimere, mediante un minimo di coscientizzazione della dimensione sociale della fede, un’azione di vasta portata e di non piccola incidenza. Illusione o impresa disperata? Desiderio velleitario o inutile? A proposito, si potrà pensare come si creda. Sicuramente, non si potrà non convenire sul fatto che molte energie morali e spirituali di credenti o di persone di buona volontà non sono attualmente incanalate verso il bene comune, formando una «massa critica». Esse rimangono inutilizzate rispetto alla concretizzazione di non pochi altri beni universali, in particolare della pace, che è un anelito di tutti. E ciò a fronte di un mondo che è in guerra, caparbiamente proteso verso la propria autodistruzione.