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L’impegno di don Luigi Sturzo per contrastare il fenomeno mafioso

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Uno degli insegnamenti di don Luigi Sturzo, valido ed attuale oggi in un momento di caduta di valori etici comunemente condivisi, è che la soluzione della questione meridionale, come questione nazionale, è innanzitutto una soluzione etica. Che si serve dell’economia e della politica come importanti e necessari strumenti. Ma che trova il suo fulcro in una collaborazione tra Stato ed energie umane, economiche e sociali dei meridionali. Cementate da una comune tensione morale e religiosa basata su un’antropologia sociale ispirata ai valori cristiani. E ai principi della sussidiarietà, della solidarietà e del bene comune. Quelli, cioè, propugnati dalla dottrina sociale della Chiesa.

L’impegno di don Luigi Sturzo per contrastare il fenomeno mafioso inizia prima del suo impegno amministrativo di consigliere comunale, di consigliere provinciale e di pro-sindaco. Comincia come un impegno educativo attraverso la stampa e il teatro popolare. L’impostazione critica di Sturzo contro la presenza della criminalità mafiosa e delle sue connivenze con i mondi dell’economia, dell’amministrazione e della politica emerge in un articolo pubblicato il 21 gennaio 1900 sul periodico da lui diretto “La Croce di Costantino” intitolato “Mafia”. Scrive lo statista siciliano: “La mafia stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica. La mafia oggi serve per domani essere servita, protegge per essere protetta, ha i piedi in Sicilia ma afferra anche a Roma, penetra nei gabinetti ministeriali, nei corridoi di Montecitorio, viola segreti, sottrae documenti, costringe uomini, creduti fior d’onestà, ad atti disonoranti e violenti”. Il tono è quello dell’intransigentismo cattolico ma il tema della moralizzazione della vita pubblica rimase la principale battaglia che Sturzo intraprese fino alla morte. Quest’analisi lucida e spietata della mafia egli la porta in scena un mese dopo il 23 febbraio 1900 con un dramma in cinque atti rappresentato nel Teatro Silvio Pellico di Caltagirone intitolato “La mafia”.

Quando don Sturzo divenne amministratore locale il tema da letterario divenne esistenziale per gli scontri che egli ebbe con la mafia presente anche nel catanese attraverso i gabellotti, i caprai , i campieri e i politici che usavano metodi violenti per condizionare il voto dei cittadini come nel nisseno l’onorevole Pasqualino Vassallo. Basta leggere i carteggi che egli scambiava con i consiglieri cattolici dei vari comuni. Don Luigi Sturzo fu uno dei pochi politici che denunciarono senza timori l’esistenza di una mafia criminale e non come innocuo costume isolano e nelle vesti di sociologo comprese le cause più profonde del fenomeno e le sue tendenze all’urbanizzazione. Scrisse nel 1949 parlando della mafia: “È di moda, lo scrive la stampa comunista e lo ripete quella indipendente, dire che la mafia in Sicilia sia fenomeno di povertà e di condizioni economiche arretrate. A farlo apposta la mafia fiorisce nella Conca d’oro, tra Palermo-Villagrazia-Monreale e si estende in zone prospere quali quelle di Carini e di Partinico. Infatti, cosa andrebbero a fare i mafiosi se non potessero estendere il loro potere e i loro intrighi nella distribuzione delle acque irrigue, nella vendita dei giardini, negli affari di armenti e di greggi, nei mercati dì carne, nei traffici dei porti, negli appalti di grosse opere pubbliche e private, nelle anticamere delle prefetture e dei municipi? Forse, costoro, non hanno mai visto mafiosi siciliani a Roma, e andare e venire dai ministeri?”.

Don Luigi Sturzo, alla fine degli anni ’50 osservava che il fenomeno mafioso “si è trasferito dalle campagne alle città, dalle case dei latifondi a quelle degli uomini politici, dai mercatini locali a gli enti pararegionali e parastatali” . Luigi Sturzo condusse la sua battaglia per la moralizzazione della vita pubblica della quale faceva parte la denunzia della cultura mafiosa nelle vesti del sacerdote, del sociologo e del leader politico, per diffondere e praticare i principi cristiani in seno alla società. Sturzo sostiene che per combattere le varie mafie si tratta di comprendere come non innanzitutto e solo come problema di sottosviluppo economico, ma come un problema culturale, morale e religioso. La mafia potrà essere sconfitta attraverso un profondo cambiamento di mentalità che porti a non idolatrare il denaro e la violenza e a ritrovare il nesso indispensabile che deve legare morale e politica.

mons. Michele Pennisi: