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L’impegno per i diritti umani richiede coerenza

Le giornate mondiali servono ancora? L’interrogativo può sembrare una provocazione irriverente, soprattutto se posto oggi nella Giornata mondiale dei diritti umani. Intendiamoci tanti passi sono stati fatti dal quel 10 dicembre del 1948, quando l’Assemblea delle Nazioni Unite adottò la dichiarazione universale dei diritti umani che riconosce l’uguaglianza di tutti gli esseri umani fin dal momento della nascita, con pari diritti e uguale dignità. La povertà assoluta complessiva è diminuita in termini percentuali, i livelli di benessere ed istruzione sono migliorati notevolmente in tutto il mondo, così come l’accesso alla maggior parte dei beni primari. Eppure troppe sono le ipocrisie e le contraddizioni che cozzano con le celebrazioni di ricorrenze, istituite per tutelare e promuovere diritti di ogni tipo, dalla salute all’istruzione, fino all’accesso alle più elementari fonti di sostentamento come l’acqua.

La Giornata mondiale dei diritti umani dovrebbe fondarsi su semplice assunto, ovvero che ogni persona umana ha un valore intrinseco inestimabile, e che ogni vita ha sempre la sua dignità che non può essere inficiata da forme di disabilità o malattia che ne riducono l’autosufficienza. Ad oggi non solo non possiamo affermare che questo enunciato sia condiviso e implementato in tutte le società ma assistiamo ad una pericolosa regressione antropologica che vede l’affermazione di una mentalità utilitaristica che mercifica anche le relazioni umane.

Insomma, mentre non passa giorno in cui non si discuta dei diritti delle donne, dell’infanzia e di ogni tipo di minoranza contemporaneamente si insinua l’ideologia di quella società dello scarto additata da Papa Francesco. Una sorta di neo darwinismo sociale in cui il disabile, il malato, l’anziano e il povero sono visti come la parte improduttiva del corpo sociale, che frena lo sviluppo e pesa sui bilanci.

Questa subdola ideologica ultra materialista riesce ad ammantare di compassione umanità anche le politiche più brutali ed eugenetiche. Quindi invece di garantire prossimità e cure si propone l’eutanasia come forma di pietà alle persone più sole e più fragili. Passa l’idea che dare la morte è meglio che vivere una vita che non è degna di essere vissuta. I benefici ovviamente sono tutti per le casse dello stato. Si tratta di una mentalità mortifera che non considera che il primo diritto da cui discendono tutti gli altri è proprio quello di vivere.

Una soluzione facile e veloce viene offerta anche alle donne con gravidanze difficili: anziché garantire sostegno alla maternità e alla vita fin dal concepimento si aprono autostrade per l’aborto, da praticare anche in solitudine grazie a farmaci da assumere anche a gestazione inoltrata. L’ideologia dell’autodeterminazione senza limiti viene invece usata per promuovere e giustificare pratiche come la prostituzione e l’utero in affitto che schiavizzano donne povere e disperate. Gli ultimi della terra possono vedere i loro corpi come estrema forma di libertà a tutto vantaggio dei ricchi acquirenti.

L’ipocrisia e i paradossi di un mondo che, almeno sulla carta, è sempre più attento ai diritti umani si manifestano poi anche sul piano geopolitico. Secondo una certa narrazione pubblica ci sono guerre che vale la pena combattere – e che sono alimentate con fiume di denaro che garantisce il flusso di armamenti – ed altre che invece spariscono dai radar della comunità internazionale. Per fare qualche esempio ricordiamo che l’intervento militare in Afghanistan era “giusto” fino a quando coincideva con gli obiettivi della missione Occidentale ma dopo il ritiro definitivo delle truppe Usa in pochi si sono posti il problema del ritorno al potere dei Talebani che hanno subito limitato il diritto all’istruzione delle donne. In molte altre nazioni alleate dell’Occidente vengono poi calpestati i diritti delle donne, i diritti sociali legati lavoro, le libertà individuali e politiche e persino la libertà religiosa, tutti temi su cui si fa leva, in altre circostanze, per giustificare sanguinosi interventi militari. I mondiali Qatar sono l’esempio più lampante di questa fiera mondiale dell’ipocrisia che non ha voluto vedere migliaia di lavoratori sfruttati, centinaia di morti sul lavoro e un impatto ambientale e sociale non sostenibile.

L’impegno per i diritti umani richiede quindi coerenza per essere credibili agli occhi di tutta l’umanità. Non solo, ma non bisogna mai dare per scontato quello che è stato acquisito in passato. I diritti vanno difesi e consolidati perché possono arretrare anche nei Paesi che hanno una più lunga tradizione democratica e uno stato sociale robusto. Ridurre le diseguaglianze e dare pari opportunità significa garantire accesso ad un’istruzione di qualità a tutti giovani così come fornire un servizio sanitario pubblico, perché anche in molti Paesi sviluppati la malattia comporta ancora il rischio di cadere in povertà.

Infine vale la pena ricordare che la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo che oggi celebriamo ci esorta ad agire “in spirito di fratellanza perché dotati di ragione e coscienza”, l’auspicio è dunque che ogni essere umano impari ad interrogare la sua coscienza, perché ciò che è bene e ciò che è male è scritto nel profondo dell’animo di ogni persona, anche quello più inquinato da inutili ideologie che passeranno alla storia.

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