La notizia è che ancora una volta non c’è spazio per i Caregiver nelle manovre economiche del Governo e del Parlamento italiano. Ma ciò che non fa più notizia è la distanza siderale fra la politica e le persone, soprattutto quelle che di una politica orientata al bene comune e alla solidarietà ne hanno più bisogno. Qui non si tratta, per la verità, di riconoscere – lo spiegherò dopo – il Caregiver, ma di riconoscere che la persona fragile ha bisogno della relazione umana e della Comunità di appartenenza per curarsi, per curare l’animo e, ove possibile, anche il corpo.
Ancora una volta, si è portati a pensare a chi cura e non a chi ha bisogno di cure. Si, perché si sta costruendo un welfare pubblico che cerca risposte alla cura attraverso apporti professionali, servizi, prestazioni. Cioè, si pensa che per salvare l’uomo occorra un progetto “riabilitativo” con un significativo “team di professionisti” e che laddove questi non bastino, ne vanno aggiunti altri.
Abbiamo sostituito alla relazione fra esseri umani, al sostegno fra esseri umani, alla capacita di una Comunità di essere inclusiva, un sistema di servizi professionali che surrogano tutti i ruoli sociali naturali. Così occorrono surrogati di padri, di madri, di figli, di nonni, di amici, di colleghi, di condomini, di concittadini…
Un grande maestro, mio concittadino, nella sua “La Cura” si esprime con parole forti, incisive, chiare: “Supererò le correnti gravitazionali. Lo spazio e la luce per non farti invecchiare. E guarirai da tutte le malattie. Perché sei un essere speciale ed io, avrò cura di te”. Questo è ciò che forma normalmente un “Caregiver”, anzi un “Care giver”, un “Donatore di cure”. In effetti la traduzione inglese della parola intera è “Badante”, e testimonia come si sia sentito il bisogno di surrogare il dono con la prestazione.
Nel periodo del lockdown, mentre erano chiusi tutti i servizi, ci è rimasto al fianco della persona con fragilità, minore o adulto, è stato unicamente il caregiver familiare. All’isolamento generale, se ne è aggiunto uno specifico, più profondo, che ha legato a doppio filo il “donatore di cure” e il “beneficiario di cure”. Sarebbe stato il momento buono, il momento giusto, per affermare una volta per tutte che la relazione prevale sulla prestazione. Affidare la persona fragile a chi rimane con lui/lei ogni giorno, in ogni momento, lo fa già gratuitamente e spesso rinunciando ad una vita sociale e lavorativa, sarebbe stato il segnale di uno Stato che diventa “civile”, che suggella il diritto alla normalità per ogni persona.
Ma così non è mai stato e cosi non è, si è ormai stratificato il cinismo che non fa più vedere le persone, ma solo pianificare freddi numeri per garantire prestazioni e servizi spesso inutili. E converrebbe due volte allo Stato il riconoscimento del ruolo del “Care giver familiare”: perché risparmierebbe e perché avrebbe un risultato migliore per il benessere della persona fragile. Un piano di vita per la persona fragile parte necessariamente dalla possibilità di avere una vita normale, dal suo nascere alla sua fine, insieme alle persone care e nella propria Comunità di vita.
Un riconoscimento della figura del care giver familiare, per il riconoscimento di un indennizzo e di tutele idonee a dare dignità a queste persone che con infinito amore, ma a prezzo della propria individualità, si prendono cura di congiunti con disabilità conviventi, sostituendosi alle carenze dello Stato, è necessario e non più rinviabile, per non condannare all’isolamento e all’oblio tutti coloro che vivono una condizione di fragilità e le loro famiglie.
Il Care giver Familiare non è un “badante”, bensì chi si occupa e prende cura di un familiare, convivente, che necessita di un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale ed in quella relazionale e che necessita di sostegni e supporti per la propria autodeterminazione. Non sostenerlo equivale a scegliere, in molti casi, che la persona fragile sia abbandonata in strutture ghettizzanti e prive di umanità.
Mi piace finire con le parole di un altro “poeta dei nostri giorni” che nel suo canto “Abbi cura di me” offre un esempio plastico del dono di se che la Persona fragile e il Care giver si fanno reciprocamente, in un dono imperituro e fortissimo.
“Adesso chiudi dolcemente gli occhi e stammi ad ascoltare…Non cercare un senso a tutto perché tutto ha senso. Anche in un chicco di grano si nasconde l’universo. Perché la natura è un libro di parole misteriose. Dove niente è più grande delle piccole cose…La vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere. Perché tutto è un miracolo tutto quello che vedi. E non esiste un altro giorno che sia uguale a ieri. Tu allora vivilo adesso come se fosse l’ultimo. E dai valore ad ogni singolo attimo… Il tempo ti cambia fuori, l’amore ti cambia dentro. Basta mettersi al fianco invece di stare al centro. L’amore è l’unica strada, è l’unico motore. È la scintilla divina che custodisci nel cuore… Ognuno combatte la propria battaglia…Adesso apri lentamente gli occhi e stammi vicino. Perché mi trema la voce come se fossi un bambino. Ma fino all’ultimo giorno in cui potrò respirare. Tu stringimi forte e non lasciarmi andare. Abbi cura di me”.