Ieri all’Angelus il Papa si è detto “rattristato dalla notizia di tanti cacciati via dalla guerra, migranti che chiedono rifugio e aiuto”, aggiungendo che in questi giorni “la cosa è diventata molto forte“. Quindi ha “augurato a tutti che il cammino quaresimale, da poco iniziato, sia ricco di frutti spirituali e di opere di bene”. Nell’ultima settimana Francesco e la Chiesa italiana hanno rinnovato l’opzione preferenziale per i poveri messa nero su bianco dal Concilio Vaticano II. Attorno “al sostegno dei poveri e all'accoglienza dei migranti”, il Pontefice invoca una “più attiva collaborazione tra i gruppi religiosi e le diverse comunità”. Un ecumenismo della carità, dunque. Quella sognata da Francesco è una Chiesa aperta, che esce da se stessa, si china sui poveri, si spalanca al mondo e all’umanità, sentendosene parte e sapendo di condividere la sua sorte e di avere contratto, in Cristo, un debito di servizio nei suoi confronti.
Anche tale vivo e pressante afflato, che emerge da ogni parola e ogni gesto del papa, ci riporta al Concilio, e in particolare alla Gaudium et Spes, che costantemente sollecita la Chiesa ad aprirsi al mondo; non per perdere la sua identità, ma appunto per trovarla, in quanto essa esiste per la missione. E la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo non è altra cosa rispetto a quella dogmatica sulla Chiesa; ne è invece la naturale prosecuzione e il compimento. Essa indica alla Chiesa la via della solidarietà con il genere umano, al fine di adempiere al mandato di Cristo. La carità, che deve animare la Chiesa al suo interno e la rende sacramento di salvezza, la deve spingere anche verso l’esterno, in modo da trasmettere ciò che ha ricevuto e la costituisce, e assicurandone l’unità negli intenti e nella prassi. Secondo Francesco, con l'annuncio evangelico viene trasmessa la logica per la quale non ci sono ultimi la Chiesa è chiamata ad essere segno dell'attenzione privilegiata per i piccoli e i poveri perché quelle membra del corpo che sembrano più deboli, sono più necessarie e, se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme.
Ricevendo il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Jorge Mario Bergoglio ha ribadito come sia in corso una “guerra mondiale a pezzi” che scaturisce dalla “mancanza di diritto”, mentre “le dittature nascono e crescono senza diritto, nella Chiesa questo non può succedere”. Quindi, “evitando soluzioni arbitrarie, il diritto diventa valido baluardo a difesa degli ultimi e dei poveri, scudo protettore di chi rischia di cadere vittima dei potenti di turno”. ha detto il Pontefice. Basta a una politica “fatta sul sangue dei poveri”, no alla guerra “tremenda anti-utopia”, “tragica farsa sulla pelle dei poveri”, ha ammonito il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, riunendo al meeting di Bari “Mediterraneo, frontiera di pace” 58 vescovi delegati di 20 Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. Un appello ad “essere Chiesa profetica che vive della beatitudine dei poveri, degli affamati e assetati di giustizia”.
Negli stessi giorni il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, ha ricordato nella sua omelia a Santa Maria Maggiore la figura di don Luigi Giussani. Il fondatore della Fraternità di Comunione e Liberazione (di cui ricorreva il 38° anniversario dal riconoscimento pontificio) scomparso quindici anni fa. Il cristianesimo è “l'annuncio di un avvenimento accaduto, che sorprende gli uomini allo stesso modo in cui, duemila anni fa, l'annuncio degli angeli a Betlemme sorprese dei poveri pastori”, sono le parole del fondatore di Cl citate dal più stretto collaboratore di Francesco. Nell’udienza di martedì all’Associazione caritativa “Pro Petri Sede”, Jorge Mario Bergoglio è “urgente porre fine allo sfruttamento dei più poveri, è urgente che cessino le atrocità nei Paesi in preda alle guerre e ai conflitti che spingono tante persone sulla strada dell'esilio”, mentre “il clima generalizzato di individualismo, egoismo e indifferenza minacciano sia la pace tra gli uomini sia l'ambiente”.
Secondo Francesco “ci troviamo di fronte a diverse sfide che riguardano la famiglia umana e la sua casa comune: al centro delle nostre preoccupazioni, portiamo il grido di angoscia dei popoli che soffrono, in particolare, per le guerre, gli sfollamenti di persone, la povertà e il degrado dell'ecosistema”. E “nella corsa sfrenata all'avere, alla carriera, agli onori o al potere, i deboli e i piccoli vengono a volte ignorati e respinti: nella smania di correre, di conquistare tutto e subito, dà fastidio chi rimane indietro ed è giudicato scarto. Quanti anziani, quanti nascituri, quante persone disabili, poveri ritenuti inutili”. Per questo, assicura il Pontefice, “la Chiesa, sostenendo la scelta preferenziale per i poveri, fa affidamento su uomini e donne di buona volontà e imbevuti di Vangelo per portare ad ogni persona bisognosa la pace e la gioia del Risorto”.
Nell’ultima udienza generale a piazza San Pietro, Francesco ha osservato: “Quanti poveri e anziani ci stanno accanto e vivono nel silenzio, senza far clamore, marginalizzati e scartati! Parlare di loro non fa audience”. Poi nella messa delle Ceneri alla Basilica di Santa Sabina ha aggiunto: “Ci guardiamo attorno e vediamo polveri di morte. Vite ridotte in cenere. Macerie, distruzione, guerra. Vite di piccoli innocenti non accolti, vite di poveri rifiutati, vite di anziani scartati. Continuiamo a distruggerci, a farci tornare in polvere”. Quella costruita da Francesco, nei suoi discorsi, viaggi, nei suoi incontri e nell’attività diplomatica della sua Chiesa, è una politica aperta, estranea a compromessi o ad alleanze di comodo, laica ma coinvolta, libera e rivolta ai poveri e a ogni situazione di bisogno e di sofferenza, estranea al giudizio e capace di sostenere e accompagnare con volto di madre. E tale modalità, lungi dal rappresentare una debolezza, si trasforma al contrario in motivo di forza e di autorevolezza, come si è reso evidente nel gesto umile e decisivo dell’indizione di un giorno di digiuno e preghiera per scongiurare la guerra in Siria, o nella mediazione del papa nei rapporti tra Usa e Cuba, risultata determinante per riconoscimento dei loro stessi capi di Stato.
L’opera della Chiesa diventa efficace, ci ricorda Francesco, in ogni parola e in ogni gesto, non quando essa difende le sue posizioni, ma quando è libera e povera, ancorandosi alla vera ricchezza, che le viene da Dio. Da credente prima ancora che da vaticanista e studioso di storia pontifica, considero profondamente sbagliato interpretare la sua “Chiesa povera per i poveri” e riformatrice secondo un’ermeneutica della rottura, come se sancisse un taglio netto e un rifiuto del Magistero dei suoi predecessori. Riferendosi alla Chiesa povera per i poveri Francesco cita continuamente i suoi predecessori. E naturalmente tutti citano il Vangelo, che alla fine è la vera radice della continuità. La dimensione della Chiesa povera per i poveri in Francesco deriva dalla sua attività prima e dopo la sua consacrazione a vescovo, e poi nel pontificato. La sua prevalente attività è quella pastorale. In America latina la povertà e i poveri erano senza dubbio posti a tema dalla teologia della liberazione e tuttavia in una prospettiva molto specifica.
Le forme di aiuto immediato ai poveri e le riforme che ne miglioravano la condizione venivano condannate come riformismo che ha l’effetto di consolidare il sistema: attutivano, si affermava, la rabbia e l’indignazione che invece erano necessarie per la trasformazione rivoluzionaria del sistema. Il modello pastorale che Francesco segue è il pontificato di Giovanni XXIII, il Papa da lui canonizzato. Roncalli, secondo Francesco, era “uno che si preoccupava per i poveri: quando il cardinale Casaroli è tornato da una missione, credo fosse l’Ungheria o la Cecoslovacchia, non ricordo, è andato da lui a spiegare come era stata la missione, la diplomazia dei piccoli passi, lo ha ricevuto in udienza, venti giorni dopo moriva, Giovanni XXIII, e quando Casaroli se ne andava lo fermò, “Ah, eccellenza, una domanda: lei continua ad andare da quei giovani?”. Perché Casaroli andava a trovare al carcere minorile di Casal del Marmo, giocava con loro. E Casaroli: “Sì, sì”. “Non li abbandoni mai””.