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Il ritorno del muro

L’ipocrisia dell’Europa è ormai un dato di fatto certo. Da una parte le testimonianze di sgomento quando il mare restituisce centinaia di corpi di migranti, le facce scure ai funerali, le generiche dichiarazioni sul fatto che “simili tragedie non devono più accadere”. Dall’altra l’assoluta indisponibilità a contribuire economicamente in forma sostanziale al programma di salvataggio e accoglienza di questi disperati che fuggono dall’orrore, nessuna politica di intervento nei Paesi arabi dai quali provengono.

Ma nonostante questi segnali, c’era comunque la sensazione che il problema fosse realmente percepito come comunitario, globale, mondiale, e non come un fatto che l’Italia doveva risolvere da sola. Sembrava esserci, insomma, la percezione che prima ancora dei governi c’erano le persone, i migranti, le loro storie. Sembrava che la politica viaggiasse sui suoi soliti binari, fatti di lungaggini e farraginosità, ma che i potenti del mondo avessero però coscienza dell’urgenza di salvare dal dramma altri esseri umani.

Questo però fino a che il “disturbo” non si è presentato alle porte di casa degli altri partner europei. In quel momento tutte le stelle della bandiera di Bruxelles sono miseramente crollate a terra. Niente più unione, né condivisione, né mutuo soccorso. Nessun respiro di cooperazione internazionale, né afflato umanitario.

La Francia ha messo i poliziotti armati alle frontiere, l’Inghilterra tira su le barriere, che ricordano quelle elettrificate del muro di Berlino. Il loro esempio sarà la stella polare per altre future decisioni dei governi locali, tutti tesi a proteggere… l’indifendibile. Perché la forza della disperazione non può essere fermata con un cavallo di frisia, tanto più se dietro a quei drammi ci sono sempre più persone, fino a diventare milioni. Per quanto ci sforziamo di dividerlo in settori, il pianeta è uno solo, e l’unico modo per esseri sicuri di stare bene stabilmente è far star bene gli altri. Lo ha detto anche Papa Francesco nell’ultima enciclica, facendo capire chiaramente che la salute della Terra e quella dei suoi abitanti sono strettamente correlate, che bisogna creare le condizioni di una vita dignitosa ovunque. Purtroppo invece sta tornando prepotente la filosofia del Nimby (acronimo inglese per “Not in my back yard”, letteralmente “Non nel mio cortile”), marginalizzando la solidarietà ad interventi che non impegnino in prima persona Stati e Popoli.

Le soluzioni che i nostri governanti riescono a immaginare non sono mai virtuose ma sempre costrittive. Si alzano le tasse spremendo all’inverosimile le famiglie dei Paesi che sono già più in crisi, si sbatte la porta in faccia agli immigrati che provano a immaginare una vita futura. Si blocca, si ferma, si stoppa. Con questo sistema è impossibile pensare a uno sviluppo futuro, soprattutto equo e solidale. Per (non) risolvere i problemi ci si accanisce sempre contro i più deboli, gli ultimi, coloro che soffrono e sono in difficoltà.

L’Europa sta smontando pezzo per pezzo i valori sui quali è stata fondata, e – non è un caso – contestualmente si sta ripiegando su se stessa. Più in generale, nel mondo con la scusa di rivendicare i diritti dei singoli si sta perdendo di vista il bene comune. In ogni settore. Ma attenzione, perché indifferenza e arroganza sono soltanto le estremità di un boomerang che tornerà indietro. E farà male.

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