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Il ritorno al Corpo di Cristo dopo il digiuno eucaristico

Dopo aver accettato con senso di responsabilità le restrizioni dolorose di questi mesi di emergenza a causa del Covid-19, a partire da lunedì 18 maggio è stata possibile una più ampia partecipazione dei fedeli alla vita sacramentale. In questa fase di transizione abbiamo cercato di coniugare, nell’Arcidiocesi di Monreale, il rispetto delle indicazioni per la salvaguardia della salute di tutti, con una vita liturgica, culmine e fonte della vita della Chiesa. Fin dall’inizio della settimana molti fedeli, desiderosi di ricevere il Pane eucaristico, dopo più di due mesi di digiuno hanno incominciato a frequentare le nostre chiese. Non si è trattato della riapertura delle nostre chiese, che sono sempre rimaste aperte per la preghiera personale, ma di fare l’esperienza dell’essere famiglia di Dio attorno alla mensa eucaristica, fondamento della fraternità in Cristo. Nella solennità dell’Ascensione ho celebrato l’Eucaristia all’aperto nel piazzale antistante il santuario diocesano della Madonna di Tagliavia, dove sono state celebrate diverse messe con la partecipazione di diverse centinaia di pellegrini provenienti anche da altre diocesi vicine. A conclusione della celebrazione da me presieduta, ho affidato alla Madonna di Tagliavia, invocata come “salus infirmorum”, il clero e i fedeli della Arcidiocesi con un particolare ricordo per i defunti, le persone anziane accolte nelle case di riposo, i malati curati negli ospedali, gli emigrati che da paesi lontani vedono nella devozione alla Madonna un punto di riferimento per la loro fede e coloro che soffrono a causa della mancanza di lavoro e di risorse per vivere. Ma già nei giorni precedenti non sono mancate le celebrazioni eucaristiche con la presenza di molti fedeli.

Il 19 maggio, nel 70° anniversario della nascita al cielo della beata Pina Suriano (1915-1950), presidente della Gioventù Femminile di Azione Cattolica di Partinico beatificata da San Giovanni Paolo II il 5 settembre 2004 a conclusione del pellegrinaggio dell’Azione Cattolica Italiana a Loreto, ho celebrato nel santuario dove sono venerate le sue spoglie mortali. Si è trattato di un evento significativo perché questa beata, è stata una donna eucaristica, che ha anelato ardentemente di ricevere la comunione. Soffriva per la privazione dell’Eucaristia soprattutto in estate quando la famiglia si trasferiva in campagna. Scriveva ad un’amica: “Si avvicina il tempo della mia partenza per la campagna e il mio cuore soffre molto perché non potrò più cibarmi delle carni immacolate di Gesù, né potrò assistere quotidianamente al sacrificio della Messa”. Anche quando sua madre le impedirà di recarsi in chiesa scriverà:” Spesso faccio la comunione spirituale, e col pensiero corro subito al Tabernacolo Santo dove Gesù se ne sta notte e giorno rinchiuso, legato dal suo stesso amore”. Nell’invitare le socie dell’Azione Cattolica ad accostarsi alla comunione eucaristica quotidiana le invita a evitare il rischio insidioso dell’abitudine. Scrisse: “Quando riceviamo Gesù è come immergerci in un abisso di grazia, di amore, di misericordia, di felicità, di beatitudine. Ma avviene proprio così quando riceviamo Gesù? Oh no! Mie care, dobbiamo confessarlo; non è la fame di Gesù Ostia che ci spinge a Lui, ma spesso l’abitudine, non è il desiderio di ascoltare la sua voce divina che ci avvince e ci trascina, ma il bisogno di non lasciare un’azione che rientra fra le abitudini della vita. E poi dopo averlo così ricevuto, nei momenti più preziosi e più intimi, rimaniamo in silenzio, ci diportiamo con lui come uno sconosciuto col quale si vada in viaggio, non come uno sposo e un padre affettuoso. Ripetiamo quelle poche parole imparate, e possibilmente pensando alle vanità, ai capricci, a quello che si dovrà fare, e dopo pochi istanti voltiamo le spalle e addio”. Mi è sembrato importante richiamare la testimonianza di questa donna nostra contemporanea, che se soffriva per il “digiuno eucaristico” impostole dai genitori, vedeva anche il rischio della banalizzazione della comunione ridotta ad una pia pratica dettata dall’abitudine o dal dovere.

Il 28° anniversario della strage di Capaci, comune nel territorio dell’Arcidiocesi di Monreale, mi ha offerto l’occasione di una celebrazione eucaristica per ricordare quelli che san Giovanni Paolo II definìmartiri per la giustizia”, ma anche tutti coloro che sono morti nell’adempimento del loro dovere durante questa pandemia: operatori sanitari, forze dell’ordine, operatori sociali, sacerdoti. In quella sede ho riaffermato l’impegno della comunità ecclesiale per la promozione della legalità e di una mentalità alternativa alla subcultura in cui alligna la mafia, la quale, scriveva già nel 1900 don Luigi Sturzo, “costringe uomini creduti fior di onestà ad atti disonoranti e violenti”. Nella mancanza di manifestazioni pubbliche all’aperto, questa celebrazione, alla quale hanno partecipato alcune autorità civili e militari e diversi giovani nel rispetto delle norme igieniche di sicurezza, ha voluto mettere in evidenza il valore sociale dell’Eucaristia, che deve spingere a costruire una società più giusta, realizzando una legalità reale, fatta di azioni concrete e non degli slogan dei professionisti dell’antimafia.

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