La condivisione è lo stile di Francesco fin dalla sua elezione al soglio di Pietro. Jorge Mario Bergoglio si è subito definito un peccatore a cui il Signore (miserando) ha rivolto i suoi occhi. E’ il papa che ha ripreso in mano il Vaticano II e lo sta portando avanti dopo sessant’anni di recezione piuttosto contrastata, ripartendo dal punto in cui il Concilio era arrivato. E cioè la riproposizione dell’annuncio nei modi adatti ai nostri tempi con le modalità, lo stile e le parole che i tempi richiedono. Per Francesco la pastorale non è l’applicazione d’una “dottrina” gestita per i dottori della legge, che hanno le mani pure perché non toccano mai la gente, ma agiscono soltanto con le idee chiare e distinte di Cartesio, mentre i pastori se le sporcano. Jorge Mario Bergoglio, infatti, ha mostrato come i vescovi devono essere esperti in umanità, cioè in conoscenza delle concrete situazioni esistenziali nelle quali vive oggi la gente. Qualcuno cerca di riproporre vecchie categorie per definire i pastori: “conservatori” e “progressisti”. Ma è “una distinzione inutile“, chiarisce padre Antonio Spadaro (sottosegretario del dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione), quanto lo è la distinzione tra “seguaci” della dottrina e “adattatori” della dottrina. L’incarnazione dimostra che la dottrina astratta, intesa come corpus di nozioni, non salva se non è rivolta a un popolo, a persone. La vera distinzione, secondo l’ex direttore della Civiltà Cattolica, è tra “ideologi” e “pastori”.
Alla 50esima settimana sociale dei cattolici, Francesco “ha richiamato tutti ai valori della democrazia oggi infragilita”. Osserva il presidente Cei, cardinale Matteo Zuppi: “L’amore politico significa, in primo luogo, guardare all’interesse generale. La competizione politica, del governo fa bene alla democrazia, ma prima di tutto va messo l’interesse generale, che si può definire interesse nazionale. Il Papa ha parlato della qualità della democrazia, che si costruisce attraverso un equilibrio dei poteri, esecutivo, legislativo e giudiziario. E la competizione tra questi poteri crea quei controlli e bilanciamenti che rendono l’equilibrio virtuoso ed efficace”. Prosegue il leader dell’episcopato italiano: “Il dialogo è decisivo, la democrazia è un perenne negoziato, un referendum ogni giorno, richiede sempre il passaggio dal parteggiare al partecipare, da fare il tifo a dialogare. Fare unità e fare giustizia è il compito della democrazia, ciò significa che l’amore politico mira alla pace. La guerra distrugge l’unità, divide il popolo e i popoli, deturpa l’anima del popolo. La guerra rende impossibile dialogare, per questo pace e democrazia vanno insieme“. 59 guerre nel mondo. La pace in molte situazioni “è scivolata via nel dibattito internazionale. Viene messa troppo da parte la diplomazia. I mediatori della società civile e i diplomatici vengono considerati degli ingenui, che non capiscono il mondo di oggi. Come sfuggire all’ingranaggio della guerra? La diplomazia e la politica appaiono indebolite, sembrano non essere in grado di rispondere con efficacia alle crisi così profonde che stiamo vivendo, le guerre sembrano perpetuarsi, essere intrattabili”, osserva il cardinale Zuppi.
Essere pastore significa non solamente confermare nella dottrina, ma anche accompagnare le persone nel loro cammino, anche in cammini bui. “Consiste nel decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme“, puntualizza padre Spadaro. Il pastore deve stare dunque vicino alle pecore, avere l’odore delle pecore, come disse Francesco in uno dei suoi primi interventi. Aprendo i lavori dell’assemblea generale della Cei papa Francesco ha chiesto ai presuli di essere non “piloti”, ma veri “pastori”. Più volte il Pontefice ha fatto appello ad essere “vescovi pastori, non prìncipi”. Usando immagini che erano già sue sin da quando reggeva la sua precedente diocesi, quella di Buenos Aires. Il volume scritto dal gesuita Diego Fares, “Il profumo del pastore”, che il Papa ha donato a tutti padri sinodali, intende entrare nel cuore dell’azione episcopale di Francesco e nella “mens” profonda del suo magistero sulla figura del vescovo. Padre Fares non è solo uno studioso, ma è persona che frequenta Jorge Mario Bergoglio da quarant’anni. Si è assunto il compito di spiegare al lettore chi sia il vescovo nella visione di Francesco. Ed è lui che, sul tema dei vescovi pastori ha ricordato un episodio illuminante. Jorge Mario Bergoglio, da rettore dello scolasticato dei gesuiti in formazione, stava aiutando una pecora a partorire. La pecora aveva rifiutato un agnellino dei tre che aveva partorito. Bergoglio chiese a uno studente di prendere l’agnello in camera sua per allattarlo e custodirlo. Questo giovane gesuita puzzava di odore di pecora e l’agnello lo seguiva per tutta la casa, fino in chiesa e nelle aule. “Se tu la custodisci, la pecora ti segue“, commentò padre Bergoglio.
Nel libro “Chi sono io, Francesco? Cronache di cose mai viste”, a ricostruire la lezione del Concilio Vaticano II nella predicazione di Francesco è un testimone d’eccezione della stagione conciliare, come Raniero La Valle, già direttore dell’Avvenire d’Italia di Bologna, uno dei due quotidiani cattolici insieme all’Italia di Milano, da cui nacque per volere di Paolo VI il quotidiano Avvenire. Il Concilio ecumenico Vaticano II fu indetto da papa Giovanni XXIII che il 25 gennaio 1959 lo annunciò ai cardinali, riuniti a Roma nella sala capitolare del monastero benedettino di San Paolo. Il 17 maggio 1959, festa della Pentecoste fu istituita la “Commissione antipreparatoria”. Con il compito di procedere sollecitamente ad una vasta consultazione, per poter determinare gli argomenti da studiare. Dopo un primo periodo di lavori, il 5 giugno del 1960, nuovamente nel giorno di Pentecoste, il Papa tracciò le linee del complesso apparato preparatorio e in due anni di lavoro fu allestita nella basilica vaticana la grandiosa aula conciliare e le commissioni incaricate elaborarono gli schemi da sottoporre all’esame del Concilio. L’11 ottobre 1962, festa della Maternità della Beata Vergine Maria, con l’ingresso di 2400 padri conciliari nella basilica di San Pietro ebbe solenne inizio il XXI Concilio ecumenico della Chiesa. Erano rappresentati tutti i continenti. L’Europa (39%), l’America del Nord (14%), l’America del Sud (18%), l’America Centrale (3%), l’Africa (12%), l’Asia (12%) e l’Oceania (2%).
Evidenzia La Valle “la sera del 13 marzo 2013 quando il nuovo papa si è affacciato sulla piazza e ha detto buonasera, e prima ancora di dare la benedizione si è inchinato chiedendo la benedizione del popolo, s’è capito che una lunga attesa era giunta forse alla fine e qualcosa di veramente nuovo stava per accadere”, sottolinea La Valle che individua la principale novità del pontificato il fatto che Jorge Mario Bergoglio metta in questione non solo se stesso, ma il ministero petrino che esercita. “Si mette all’interno del grande corteo del popolo cristiano e non al di sopra, spiega che lui è uno di noi», afferma La Valle. «Il papa nella sua idea è solo uno a cui Dio ha guardato con grande misericordia. Bergoglio ha sempre avuto questa idea e lo dimostra nella scelta del motto episcopale, cioè Miserando atque eligendo (Guardò con misericordia e scelse)”.