La voce sofferente e provata di papa Francesco è arrivata al cuore di milioni di persone in tutto il mondo. Tante persone hanno riconosciuto nel tono flebile l’eco di intimi ricordi familiari, il riflesso di dolorose esperienze di malattia vissute personalmente oppure assistendo i propri cari in ospedale o in casa. Fragilità e coraggio. A molti sono tornati in mente gli interventi pubblici di Giovanni Paolo II durante la degenza di vent’anni fa. Francesco, per citare un suo predecessore da lui canonizzato, si conferma “esperto in umanità”. Don Dario Vivian è un sacerdote diocesano, impegnato nella pastorale e nell’insegnamento presso la Facoltà Teologica del Triveneto. Vive in un quartiere della periferia di Vicenza. L’intreccio tra parola del Vangelo e parole delle donne e degli uomini del nostro tempo costituisce la trama delle riflessioni che condivide. Per Claudiana ha pubblicato “Dio li fa… e poi li accoppia? Storie bibliche per interrogare l’amore“. È stato il papa Paolo VI, certamente entro le prospettive aperte dal Vaticano II, a definire la Chiesa “rerum humanarum peritissima”. Esperta al massimo grado di ciò che è umano. Afferma don Vivian: “Una sorta di rivoluzione, a ben pensarci, constatando che fino all’altro ieri era il destino eterno e soprannaturale a occupare e preoccupare pensieri e azioni della Chiesa, a partire dai ministri ordinati; non per niente a loro era affidata – come talvolta si sente ancora dire – la ‘cura delle anime’, anche se la saggezza evangelica di tanti preti si è sempre fatta carico dell’umanità concreta dei propri parrocchiani“.

Giovedì sera il mondo ha riascoltato la voce di Papa Francesco. Dopo 21 giorni di ricovero all’ospedale Gemelli Bergoglio ha mandato un audio ai fedeli presenti in Piazza San Pietro per la recita del rosario per la sua salute. “Ringrazio di cuore per le vostre preghiere per la mia salute dalla piazza, vi accompagno da qui. Che Dio vi benedica e che la Vergine vi custodisca. Grazie”. Queste le parole, pronunciate in spagnolo e accolte dall’applauso della piazza. Poco meno di 30 secondi per esprimere vicinanza e affetto. Jorge Mario Bergoglio, pur non essendo un accademico come Joseph Ratzinger, ha profonda cultura e grande esperienza umana. Anche sui problemi della pace (la diplomazia non sembrava nelle corde del vescovo Bergoglio) ha mostrato forte incisività. Sulla crisi siriana, nella fine del blocco tra Cuba e Stati Uniti, e con parole chiare sulla guerra in Ucraina, definita fratricida (parole che hanno suscitato perplessità tra gli spiriti nazionalisti). È divenuto, senza volerlo, un leader spirituale mondiale, che i politici sono interessati a incontrare. Jorge Bergoglio è appunto un esperto di umanità. Per tutta la vita ha incontrato la gente e i suoi problemi. È stato vescovo di una megalopoli del Sud, Buenos Aires. Sa quale grande sfida sia oggi introdurre la Chiesa nel mondo globale, che trasforma i legami familiari e comunitari, mescola genti diverse, crea scenari umani inediti. È l’orizzonte della missione in un mondo che cambia. Per questo la Chiesa deve farsi missionaria, come popolo di Dio.

Secondo molti analisti di questioni ecclesiastiche l’interpretazione e ancor più la realizzazione del Concilio colloca Jorge Mario Bergoglio nell’alveo del cattolicesimo democratico. Ambito a cui appartiene anche la significativa figura di Pierluigi Castagnetti. Nato e vissuto a Reggio Emilia, ha sempre coltivato la passione per la politica e, giovanissimo, si è iscritto alla Dc. Nel 1980 diventa consigliere regionale dell’Emilia Romagna. Due anni dopo viene eletto segretario regionale del partito e nel 1987 entra in Parlamento. Finita l’esperienza della Dc, Castagnetti è stato tra i fondatori del Partito Popolare, di cui divenne anche segretario nazionale. Sempre Castagnetti ha poi contribuito alla formazione del primo governo Prodi e, successivamente, alla nascita della Margherita. Francesco, a giudizio dello storico Andrea Riccardi, accetta la sfida con serenità. La Chiesa deve abbandonare lo spirito rinunciatario da minoranza di puri e duri, mescolarsi con il popolo delle città senza erigere frontiere, vivere con tutti incontrando ognuno. È un programma vasto e ambizioso: quello del Vaticano II. Jorge Mario Bergoglio è stato ordinato prete nel 1969. Non è solo il primo papa latinoamericano, ma anche il primo papa figlio del Vaticano II finito nel 1965. Vangelo e Concilio sono il suo programma. Ossia il Vangelo della misericordia, vissuto e comunicato.

“A me pare che il paragone tra Francesco e Giovanni XXIII ci stia, fatti i dovuti distinguo innanzitutto sul piano storico”, spiega Castagnetti. “Roncalli è stato eletto all’indomani (appena 13 anni dopo) della seconda guerra mondiale in una Chiesa inevitabilmente euro-europea per non dire italo-italiana. L’intuizione del Concilio in quel contesto storico fu veramente ‘rivoluzionaria’, nel senso che rivelò sin da subito la volontà del suo promotore di fare uscire la Chiesa dai suoi confini tradizionali, e di riformarne profondamente la struttura”. Fu profetica l’idea e straordinaria la forza con cui la realizzò vincendo resistenze inusitate. La forza gli veniva sicuramente dalla profondità della convinzione maturata nel decennio precedente. il monaco Giuseppe Dossetti disse infatti “l’hanno eletto perché non lo conoscevano. Pochi sapevano che della necessità di un Concilio Roncalli aveva parlato quando ancora era a Parigi”.

Molti i possibili paragoni. “Anche Francesco si trova a un versante della storia della Chiesa. E avverte come ineludibile la necessità di una riforma. Anche lui deve vincere resistenze inusitate in Curia e nella periferia ecclesiale. Anche lui sente l’urgenza di impostare un percorso in qualche modo irreversibile, accada quel che accada, anche alla persona dell’iniziatore“, sottolinea Castagnetti. Le diversità fra i due sono ugualmente importanti: papa Giovanni era “interno” alla vecchia struttura pacelliana e italiana anche per ragioni biografiche. Mentre Francesco “viene dalla fine del mondo”, cioè dall’estrema periferia ecclesiale, e ciò rappresenta un vantaggio, ma comporta anche lo svantaggio di un certo pregiudizio nei suoi confronti. Francesco viene eletto papa non disponendo egli di un’idea cardine come fu il Concilio per papa Giovanni, portava con sé infatti l’esigenza di una riforma profonda, ma non chiaramente degli strumenti. Lo strumento che poi ha scelto è quello della sinodalità che è soprattutto un metodo. Ciò detto, secondo Castagnetti, le simmetrie possibili tra le due figure sono tante altre. La postura personale; la parrocchialità cioè la vicinanza umana che li fa sentire come autorità-accessibili e comunque conoscitrici del tuo problema, insomma la pastoralità percepibile a prima vista. E ancora, l’abbandono nel senso di affidamento senza riserve alla divina Provvidenza, cioè la certezza della misericordia del Signore; la capacità di “mettersi nei panni” (nel senso di condividere) dell’uomo del loro tempo, soprattutto del povero; la configurazione della povertà non solo come condizione umana da prediligere come attenzione amorevole per i cristiani, ma come vero e proprio luogo teologico per eccellenza “lì c’è Dio!”.