In questi giorni a informare sulle condizioni di salute del Papa, ricoverato al policlinico Gemelli di Roma, è il bollettino sanitario diramato dalla Sala Stampa vaticana. “Francesco ha riposato bene durante la notte- si legge nella nota-. Le condizioni cliniche sono stazionarie e prosegue l’iter diagnostico terapeutico prescritto dallo staff medico“. Ieri mattina “ha ricevuto l’Eucarestia e ha seguito la Santa Messa in televisione. Il pomeriggio ha alternato la lettura al riposo”. In una contemporaneità che nasconde la malattia e la vecchiaia come fossero motivi di vergogna, il Pontefice ne ha fatto testimonianza e Vangelo quotidiano. Non solo non le nasconde ma ne ha fatto predicazione di carne. Sulle orme del santo che gli ha dato il nome e che ai suoi frati diceva: “Predicate, predicate, se serve anche con le parole”. Come a dire che la miglior parola è sempre l’esempio di vita. Jorge Mario Bergoglio è un vescovo che vive nel profondo la rivoluzione del Concilio, che chiedeva una riforma della Chiesa. Lo spirito del Vaticano II vive nelle sue parole, nelle omelie, in un’idea di Chiesa madre di umanità, che guarda con simpatia a tutti. “Il dialogo di cui abbiamo bisogno non può che essere aperto e rispettoso, e allora si rivela fruttuoso- avverte Francesco-. Il rispetto reciproco è condizione e, nello stesso tempo, fine del dialogo interreligioso. Rispettare il diritto altrui alla vita, all’integrità fisica, alle libertà fondamentali, cioè libertà di coscienza, di pensiero, di espressione e di religione”.
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Jorge Mario Bergoglio ha colto quelli che il Concilio chiama i segni dei tempi. Lo ha fatto di fronte alla guerra in Siria, a Cuba, e lo fa continuamente davanti a un mondo europeo impaurito e un po’ miope. Concentrato su di sé senza una visione del futuro e della storia nella sua complessità. I suoi viaggi a Lampedusa, in Albania, in America Latina, in Africa, dove ha voluto aprire l’Anno Santo della misericordia in un paese poverissimo e travagliato dalla guerra come il Centrafrica, sono da leggere nella prospettiva di una Chiesa che si fa vicina senza paura a chi soffre, come una madre ai suoi figli. In questo papa Francesco coglie una missione della Chiesa per il mondo e nel mondo e non solo una Chiesa che parla ai “suoi”. L’ecumenismo di Francesco si riallaccia all’incontro di Giovanni XXIII con Jules Isaac del 13 giugno 1960, che gli parlò della teologia del disprezzo e dell’ antisemitismo. Giovanni XXIII conosceva la sofferenza degli ebrei da delegato apostolico a Istanbul, dove si era adoperato per la loro salvezza. Ma il “Papa buono” conobbe prima a Sofia, poi a Istanbul, poi a Parigi e infine a Venezia anche il mondo dell’ortodossia e della riforma, con cui si aprì a un rapporto cordiale.
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La Nostra Aetate affonda le sue radici lì, come del resto l’apertura al dialogo ecumenico, su cui Paolo VI pose una pietra miliare nel suo incontro a Gerusalemme con il patriarca ecumenico Athenagoras. “Il mondo guarda a noi credenti, ci esorta a collaborare tra di noi e con gli uomini e le donne di buona volontà che non professano alcuna religione, ci chiede risposte effettive su numerosi temi. La pace, la fame, la miseria che affligge milioni di persone, la crisi ambientale, la violenza, in particolare quella commessa in nome della religione, la corruzione, il degrado morale, le crisi della famiglia, dell’economia, della finanza, e soprattutto della speranza- sottolinea papa Bergoglio-. Noi credenti non abbiamo ricette per questi problemi, ma abbiamo una grande risorsa: la preghiera. E noi credenti preghiamo. Dobbiamo pregare. La preghiera è il nostro tesoro, a cui attingiamo secondo le rispettive tradizioni, per chiedere i doni ai quali anela l’umanità“. Tuttavia si deve riconoscere che la vera svolta conciliare si realizzò con Giovanni Paolo II.
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Al di là dei numerosi incontri e documenti del suo pontificato, l’icona più significativa del sogno ecumenico e di incontro con le religioni mondiali fu Assisi 1986. Questa icona rimane un punto fermo, perché sottolinea come il dialogo si realizza innanzitutto con l’incontro fraterno nel rispetto delle differenze e nella tensione comune verso la pace attraverso la preghiera, come fu Assisi. Icona indelebile e un po’ dimenticata, nonostante la Comunità di Sant’Egidio con fedeltà la riproponga ininterrottamente dal 1987. In questo spirito, appunto lo spirito di Assisi, si pone la visita alla Sinagoga di Roma, poi ripetuta da Benedetto e nel gennaio 2016 da Francesco. Jorge Mario Bergoglio riprende questa idea dell’incontro fraterno, che crea relazioni e aiuta a superare antichi steccati. Così è stata la visita a sorpresa alla Chiesa Evangelica della Riconciliazione a Caserta, o quella ai Valdesi, alla comunità Luterana a Roma, e gli incontri con patriarchi delle Chiese ortodosse o Antiche Chiese Orientali. È l’ecumenismo dell’incontro più che dei documenti, che aiuta ad avvicinare spiritualmente guarendo antiche ferite e pregiudizi.