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Il mondo a pezzi

Dividere il mondo. Con il pretesto della crisi, oppure nel nome di una religione, o per proteggere un’identità. Il Terzo Millennio è iniziato con i peggiori auspici, e ovunque si volga lo sguardo c’è da preoccuparsi. I muri – non solo in senso metaforico – tornano ad alzarsi, quasi che le conquiste del secolo scorso siano già dimenticate. In Europa sono sempre di più le prese di posizione contro i migranti, per respingerli, abbandonarli al loro destino, come se fosse loro la colpa dell’assoluta incapacità di assisterli dell’Occidente. In America un super-miliardario fa dell’eliminazione delle leggi sull’accoglienza il proprio cavallo di battaglia per le Presidenziali, mentre sta riesplodendo in maniera sempre più evidente lo scontro razziale. In Africa si uccide in maniera sempre più efferata contro chi non professa una fede, innescando violenze su violenze, e – cosa ancor più devastante – cercando di amplificare il dolore altrui per alimentare la fonte del fondamentalismo. Dall’altra parte del Globo vige per lo più l’assenza totale di democrazia, che anestetizza le menti sopprimendo col sangue ogni possibile “deviazione”.

Il concetto di solidarietà, mutuo soccorso, appartenenza al genere umano, è scomparso. Lo si ritrova solo in occasione di grandi calamità naturali, dove forse per un retaggio che per fortuna ancora non si è spento del tutto ci si ricorda che tendere una mano al nostro prossimo che soffre è l’unica via per impedire l’autodistruzione dell’umanità. Paradossalmente ce ne ricordiamo solo quando la Terra manda segnali che non possiamo non vedere: terremoti, alluvioni, uragani. Allora l’uomo torna a prendere coscienza della propria pochezza, della vacuità della forza che ritiene di avere, e in un sussulto di umanità riconosce nell’altro se stesso. A prescindere dal colore della pelle o dalla religione.

Ma proprio per la natura episodica di questi eventi, tutto resta relegato a qualche giorno di attenzione, lasciando invariato l’impianto politico generale. Quest’ultimo si alimenta di un grande equivoco: in un momento di difficoltà economica globale, ogni piccola risorsa destinata a qualcuno che non sia il cittadino del proprio Paese può sembrare una risorsa sprecata, buttata via. Ma quei soldi, quand’anche risparmiati, conti alla mano non permetterebbero di intaccare il nostro deficit pubblico neanche in misura percentuale. Ma sparando sul debole si evita di concentrare l’attenzione sulla totale inadeguatezza nel gestire la cosa pubblica; perché se è vero che un migrante incide in qualche modo sul denaro pubblico, la cosa non sortirebbe alcun effetto se quei conti fossero a posto, se la disoccupazione fosse ai minimi, se il prelievo fiscale fosse – quello sì – equo. Invece tutti questi parametri non sono ottimali, ed è strano che ci si accorga che la torta è andata a male solo quando si decide di toglierle qualche briciola. Cosa c’è di meglio di una contrapposizione furente per distrarre l’opinione pubblica?!

Eppure – se pur grave per l’attualità – il problema vero non è quello di piccoli equilibri politici interni ai diversi Paesi. E’ che se gli uomini continueranno a percorrere questa pericolosissima strada di chiusura verso gli altri, ogni Paese si arroccherà sulle proprie posizioni, spingendo altri a fare altrettanto; a quel punto ogni scintilla potrebbe innescare un incendio, con la guerra come unica soluzione alle contese di mondi che tra loro non parlano né vogliono farlo. Ci siamo già passati, abbiamo provocato milioni di morti e siamo andati molto vicino all’autodistruzione. Possibile che non ci si accorga che stiamo ripercorrendo lo stesso sentiero?

 

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