Aveva perso il papĆ durante la Shoah. Sulle sue gambe camminava un’epoca. E’ scomparso all’etĆ di 87 anni il rabbino romano Vittorio Haim Della Rocca. Nato nel 1933. Rimasto orfano di padre ucciso nella marcia della morte dopo essere stato deportato a Auschwitz. Della Rocca ĆØ stato emblema del ritorno alla vita della comunitĆ ebraica di Roma. Per lunghi anni accanto al rabbino capo Elio Toaff. Ha insegnato a intere generazioni i valori della Torah e dei precetti ebraici. E’ stato per decenni una delle colonne della vita religiosa della comunitĆ . Come cantore nel Tempio Maggiore. Insegnante nelle scuole. Testimonianze come quella del rabbino Della Rocca hanno contribuito ad abbattere i muri di diffidenza tra le fedi. E a riannodare i fili della memoria condiva tra i cristiani e i loro “fratelli maggiori”. Era il 19 novembre del 1963. Seconda sessione del Vaticano II. Il progetto di documento sullāebraismo era stato subissato di critiche, specialmente dai vescovi dei Paesi arabi. E rischiava di venire accantonato. Allora, per difenderlo, era sceso in campo lo stesso presidente del Segretariato per lāunione, responsabile del testo. E aveva fatto una grande impressione sentire lāappassionato intervento del cardinale Agostino Bea.
Lui, tedesco, che ricordava le gravissime responsabilitĆ del nazismo nellāacuirsi dellā antisemitismo. Ma sollecitava anche la rimozione di “alcuni pregiudizi” verso gli ebrei che persistevano in non pochi cattolici. Proprio da lƬ era cominciato quel processo di “purificazione della memoria”, che sarebbe culminato nel riconoscimento delle colpe commesse dai cristianiā e dalla stessa Chiesaā lungo la storia. E quindi dei tanti tradimenti consumati nei confronti dello spirito di Cristo e del Vangelo. Comāera accaduto al tempo delle Crociate. E poi, con i massacri degli indios durante le conquiste coloniali. E lāInquisizione, con il famoso ācaso Galileoā. E come non ricordare lāatteggiamento di intolleranza, se non di persecuzione, verso ebrei, schiavi africani, donne, minoranze delle altre Chiese cristiane?
Ci sono solamente tre chilometri, quattro al massimo, per andare dal Vaticano alla sinagoga. E invece, a pensarci bene, ĆØ un viaggio lungo, lunghissimo, durato duemila anni. La storia del cristianesimo coincide con la storia della frattura, sempre piĆ¹ profonda, sempre piĆ¹ dolorosa, che si era prodotta con lāebraismo. Ma chi avrebbe mai immaginato che, a compiere questo viaggio, a cercare di saldare in qualche modo quella rottura, sarebbe stato un Papa venuto dalla terra dove si era in gran parte consumato il genocidio del popolo ebraico? Giovanni Paolo II era stato ad Auschwitz.
“Non potevo non venire qui come Papa”, aveva detto. “Vengo e mi inginocchio su questo Golgota del mondo contemporaneoĀ». Ma papa Wojtyla voleva di piĆ¹. Pensava a qualcosa che potesse restare nella memoria. Ma anche nel cuore dellāintero mondo ebraico. E nel riferirsi alle lapidi che commemorano le vittime del nazismo, karol Wojtyla fece una aggiunta a sorpresa.
Il Pontefice accennĆ² anche alla lapide russa, per sottolineare le sofferenze di quella nazione nella lotta per la “libertĆ dei popoli”. Polacco sƬ, ma non di parte. Il palco con lāaltare era stato eretto nel vicino campo di Birkenau, su quella piattaforma tristemente famosa. Si fermavano lƬ i treni con i vagoni piombati che avevano deportato ebrei da tutta Europa. GiĆ quella visita, perciĆ², era stata un gesto di grande spessore, di grande significato. E poi, cāera un altro problema aperto. I padri del Concilio Vaticano II, con il decreto “Nostra aetate”, avevano scritto un documento rivoluzionario. La Chiesa cattolica riconosceva di non poter entrare nella comprensione del suo stesso mistero. Se non a partire dalle proprie āoriginiā ebraiche. E cioĆØ, dal vincolo che lega spiritualmente il popolo del Nuovo Testamento con la stirpe di Abramo.
Ebbene, erano passati ventāanni dalla chiusura del Vaticano II, e cāerano non pochi cattolici, i quali mostravano ancora una certa riluttanza a riconoscere il nuovo atteggiamento della loro Chiesa verso lāebraismo. A cominciare dalla cancellazione del ādeicidioā. Per cui restavano un poā tutti i pregiudizi e i preconcetti sugli ebrei. Restava una “zona grigia”, come diceva Primo Levi, al fondo di molte coscienze. E allora, che cosa fare perchĆ© le affermazioni rivoluzionarie del Concilio fossero accettate da quelle coscienze cosƬ restie ma fossero anche credute da ebrei che avevano patito nella loro carne le offese di un antisemitismo cattolico? La risposta di Wojtyla fu attraversare il Tevere. Il piĆ¹ breve e significativo viaggio del Papa globetrotter.
Il Golgota di Auschwitz nel dialogo tra le fedi

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