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Il gelo dell’indifferenza

Una notte di molti anni fa, mi ritrovavo con don Benzi a cercare un clochard. Era freddissimo e il don aveva ricevuto la segnalazione di una persona abbandonata ai giardini pubblici di Rimini. Così nel cuore della notte lo accompagnai quasi perplesso perché mi sembrava improbabile riuscire in quella impresa. Invece avvenne l’esatto contrario: don Oreste vide un mucchio di rifiuti e andò con le sue mani a scavare fino a scorgere il volto di una persona sorpresa di essere stata trovata. Non dimenticherò mai i suoi occhioni spalancati e i suoi primi minuti di silenzio. Il don incominciò a interrogarlo: “Come ti chiami? Cosa fai qui? Ma perché stai sotto questa immondizia?… ma lui non rispondeva, sembrava una mummia! A un certo punto don Benzi, che aveva un grande humor, mi fece questa battuta: “Guarda cosa fa muovere il mondo” e rivolgendosi a quel tipo gli disse: “Se mi rispondi e poi vieni via con me ti regalo 50mila lire!”. E così Antonio immediatamente iniziò a parlare dicendo: “Ma è vero? Me li darai veramente?… ” e don Oreste: “sì, certo che te li darò… ma tu ora ti alzi e prendi le tue cose e vieni a casa mia così ti do da mangiare, ti lavi, ti vesti e poi dormi un po’”. Caricammo quelli che per me erano solo rifiuti, e anche la sua bicicletta; e terminata la “missione” don Oreste mi fece questa domanda: “Tu don Aldo, cosa avresti fatto? E io, che ero stremato e stanchissimo, gli risposi: “Avrei chiamato il 118. Lui replicò: “Vedi, ci sono delle cose che se non le fai te non le farà nessun altro… e ci sono dei poveri che se non vai te a cercarli, loro non potranno mai incontrarti”.

È facile per alcuni fare la passerella con le telecamere accese nei luoghi dove mangiano i clochard o dove si ritrovano per ripararsi dal freddo, giusto per far credere che si hanno a cuore le persone più escluse della società; altro è prendersi realmente cura di loro improntando progetti seri di riabilitazione a favore di chi ha perso ogni cosa. Uno Stato civile e umano, presente ai più deboli, dovrebbe essere rigorosamente impegnato a non condannare i propri cittadini a morire nell’abbandono e nella miseria più inaudita. Addirittura in uno dei Paesi che si vanta di far parte del G7 e cioè delle più grandi potenze economiche del mondo, si dimentica il primato della dignità di ogni persona. Di fatto, e questa volta lo dico senza falsa modestia, le realtà che forniscono assistenza appartengono, per la maggior parte, a quel mondo cattolico così spesso disprezzato e infamato dagli anticlericali e dai nuovi pseudo-cristiani “fai-da-te”.

Poi vediamo anche una marea di gente indignata per l’ospitalità che viene riservata e assicurata ai migranti mentre i propri connazionali vengono lasciati morire sulle strade dentro a scatoloni sporchi e bagnati. Certo è sbagliatissimo fare comparazioni o confronti del tutto inopportuni, dato che qualunque persona si trovi in uno stato di bisogno e nella disperazione deve essere sempre soccorsa e accolta.

Ma le scene desolanti e raccapriccianti che alcuni media timidamente ci stanno mostrando, provocano una legittima indignazione in chi si chiede: perché lo Stato, le Regioni, i Comuni cadono dal pero dinanzi all’arrivo del gelo? Eppure ogni anno si ripetono queste tristi disgrazie per tanti esseri umani del tutto innocenti condannati a non avere quasi nessuno che li aiuti. Sarebbe importante aprire per loro tutte le chiese anche di notte, accendere i riscaldamenti e che ogni parroco facesse la propria parte… e questo in verità già avviene in molte parti d’Italia. Ma non è sufficiente. Così dovrebbero fare tutti i Comuni, gli ospedali, le Prefetture: aprire per rispondere all’emergenza freddo e poi ripartire insieme per trovare delle risposte. Questi amici che definiamo “senza fissa dimora” non hanno bisogno di essere consolati ma di sentire che esistono. Proprio loro ci giudicheranno un giorno al cospetto di Dio. Noi, benestanti e farisei, rischiamo di alimentare il gelo dell’indifferenza che ci rende spietati e colpevoli.

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AUTORE

don Aldo Buonaiuto
don Aldo Buonaiuto
Fondatore e direttore editoriale di In Terris, è un sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da anni è impegnato nella lotta contro la prostituzione schiavizzata

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