Uno dei più grandi Padri della storia della Chiesa, Papa San Gregorio Magno, a proposito dell’arroganza così si espresse molti secoli fa: “L’insegnamento delle persone arroganti ha questo di particolare: che esse non sanno esporre con umiltà quello che insegnano, e anche le cose giuste che conoscono non riescono a comunicarle rettamente. Quando insegnano danno l’impressione di ritenersi molto in alto e di guardare di là assai in basso verso gli ascoltatori, ai quali sembrano far giungere non tanto dei consigli, quanto dei comandi imperiosi”.
Queste sagge parole, sempre attuali, possono riguardare chiunque non sappia mostrare con umiltà le proprie competenze adombrando addirittura le cose più belle e positive che ha da testimoniare. Chi sprofonda nell’arroganza è condannato a vivere accecato da alterigia e superbia. In questo senso l’immagine simbolica del “non vedente”, inconsapevole dei propri limiti, è quella più eloquente perché riflette il comportamento di quanti non si rendono conto dei rischi, anche gravi, che si può percorrere con la supponenza.
L’arrogante, rivestito di ruoli dirigenziali o di responsabilità, può recare gravi danni alla società. L’atteggiamento di superiorità, fino alla “strafottenza”, che permea il suo vissuto, rischia di trascinare nel baratro coloro che sono a lui legati. Questo grave difetto, se presente in un individuo oppure in una realtà civile o religiosa, genererà soltanto l’avversione e il disappunto dei molti; le vendette, probabilmente, saranno la risposta di chi prima aveva subito e incassato silenziosamente i colpi.
Eppure il termine “arrogare”, proveniente dal latino, significava “chiedere”. In particolare, nel diritto romano, voleva dire “domandare al popolo”. Più precisamente l’adrogatio era un istituto del diritto familiare tramite il quale un cittadino poteva adottarne un altro che non fosse vincolato a un’altra potestà paterna. Le procedure di adrogatio erano controllate dai Pontefici, dai Comizi curiati e dal popolo. Forse furono proprio gli abusi e le frodi che vennero perpetrati con questa pratica a far assumere alla parola la valenza negativa che oggi le viene attribuita.
Il termine, infatti, ci richiama immediatamente a chi si pone con superiorità opponendosi a qualsiasi forma di dialettica o messa in discussione. L’arrogante è convinto di avere ragione mortificando chiunque abbia davanti; il disprezzo è la conseguenza di chi imposta la propria vita nella dinamica della prepotenza. Il crudele obiettivo dell’arrogante è sempre il solito: il raggiungimento e la conservazione del potere. La prepotenza e l’affermazione di sé a discapito degli altri sono come le più brutte malattie, quelle che contagiano e danneggiano la collettività.
Quando l’arroganza diventa cronica e virale non lascia scampo e può rovinare le persone più intelligenti, più capaci e addirittura anche le più spirituali. Gli unici “medicinali” che potrebbero attenuare una tale metastasi sono rappresentati da parole ormai quasi cadute in disuso: umiltà, ravvedimento e pentimento. I credenti – e non solo – dovrebbero far tesoro delle parole di Papa Francesco che, al n. 34 dell’enciclica Lumen Fidei, afferma: “Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti”.
Purtroppo il nostro contesto socio-politico continua a mettere in luce il senso dell’arroganza, spesso mescolata a una scaltrezza più diabolica che evangelica; anche in questi giorni, in Italia, abbiamo assistito al fallimento di un tale “modus operandi”… ma, intendiamoci, ogni riferimento è puramente casuale.