Esistono doveri individuali che sono anche collettivi. Uno di questi è non rassegnarci alla tratta. Il Papa ci esorta ad “allontanare la tentazione di pensare che certi fenomeni non possano essere debellati” e a “non assuefarci all’ingiustizia”. Oggi viene celebrata in tutto il mondo la Giornata Internazionale in ricordo delle vittime della schiavitù e della tratta transatlantica degli schiavi. L’Onu ha istituito questa ricorrenza per commemorare le donne e uomini strappati dalle loro terre in Africa per essere venduti come schiavi nelle Americhe. Un calvario lungo quattro secoli: milioni di innocenti non sopravvissero alla crudeltà disumana del viaggio. La ricorrenza, per volontà delle Nazioni Unite, unisce nella condanna l’antica tratta e quella moderna. Papa Francesco sollecita “coraggio ed efficacia”, invocando “iniziative mirate” per indebolire e contrastare i meccanismi economici e criminali che “traggono profitti dallo sfruttamento”.
Come all’epoca delle navi negriere, la nostra società non è riuscita a consegnare alle nuove generazioni modelli credibili né ad insegnare loro l’importanza di compiere scelte valoriali. Incrementare nuove forme di assoggettamento e violenza accomuna l’indifferenza di ieri a quella di oggi, aggravando il disagio interiore che devasta la contemporaneità. La Chiesa di Francesco, che abbraccia gli ultimi e i più deboli, sprona continuamente i governanti a combattere qualsiasi forma di oppressione e di sfruttamento, nel rispetto degli insegnamenti evangelici. L’appello papale non va soltanto rispettato ma deve essere pienamente accolto richiamandoci a un impegno cristiano nei confronti di ogni persona sofferente perché privata della sua dignità. Gli uomini e le donne che promuovono un mercato così torbido e turpe celano la propria incapacità di amare nel senso più ampio della parola, perché chi ama innanzitutto rispetta l’altro. Il Pontefice, quindi, invoca “vicinanza e compassione” per mettersi in ascolto delle “persone che hanno fatto esperienza della tratta, per aiutarle a rimettersi in piedi e insieme con loro individuare le vie migliori per liberare altri e fare prevenzione”.
Nell’Unione Europea e nel resto del mondo, la prostituzione coatta è direttamente collegata con la tratta di donne. Il 62% per cento delle donne vittime della tratta sono oggetto di sfruttamento sessuale. I drammatici, quotidiani episodi di cronaca nel Mare Mediterraneo evidenziano una terribile verità: la tratta degli schiavi non è mai cessata. Dalle sue origini ai giorni nostri è cambiato solo il sistema per prelevare esseri umani trasformandoli in merce di scambio. Il passaggio di fratelli e sorelle “invisibili” nelle mani di criminali nel deserto e poi degli scafisti alimenta un business colossale e aberrante. Prostituzione, manodopera, vendita di organi rappresentano i profitti del nuovo commercio della vergogna. Eppure, nell’immediato dopoguerra, quando la distruzione e la povertà tormentavano i Paesi sconfitti, ci fu una volontà di ripresa che espresse un’energia combattiva volta alla conquista di un rinnovato benessere e di una rigenerata civiltà. Quella spinta in avanti determinò non solo la grande ripresa economica ma anche importanti conquiste sul piano del pieno riconoscimento dei diritti civili e democratici.
“La persona non è il suo errore, dove c’è una persona arrabbiata o violenta c’è sempre un cuore ferito”, diceva don Oreste Benzi. Accanto al fondatore dell’associazione Papa Giovanni XXIII mi sono imbattuto fin dall’inizio della missione sacerdotale nel fenomeno delle ragazze africane, soprattutto nigeriane, che arrivano con i barconi e dopo qualche giorno di accoglienza nei centri finiscono sul marciapiede. Quando approdano in Italia hanno già un numero di telefono che sono costrette a chiamare. La cosiddetta “madame” aspetta la loro telefonata e si informa subito dove si trovano, per poi mandare delle macchine a prelevarle per poi gettarle sulla strada.
Sui barconi non arrivano soltanto disperati che scappano dalle tragedie, ma anche vittime della tratta che le organizzazioni criminali riescono a infiltrare nel mercato della disperazione. Molte di loro sono minorenni perché il mercato dei clienti richiede proprio che siano giovanissime. Tutti vedono, troppi sanno ma fanno finta di non vedere. Anche i riti voodoo vengono usati come arma di ritorsione e di minaccia verso le più fragili e indifese delle creature, terrorizzate dalle ritorsioni del racket sui loro genitori e fratelli. Sono poco più che bambine e temono che, in caso di ribellione, i loro cari possano rimanere vittime di riti magici, malefici e vendette. Perciò assecondano, obbediscono ed eseguono l’ordine dei loro aguzzini che gestiscono l’attività delle vittime. In Italia, in un paio di decenni, il fenomeno si è espanso fino a quadruplicarsi. “La tratta di persone sfigura la dignità. Lo sfruttamento e l’assoggettamento limitano la libertà e rendono le persone oggetti da usare e scartare”, avverte Francesco. La nostra ignavia non diventi complicità con i moderni negrieri.