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Il “Cura Italia” dimentica le famiglie

Siamo in un momento in cui la libertà è alla resa dei conti e deve dare ragione del suo valore. Stiamo vivendo un tempo in cui quasi tutte le libertà costituzionali sono sostanzialmente sospese, addirittura con lo spettro che possiamo essere tracciati con tutti i nostri dati sensibili in ogni istante tramite un’app nelle mani delle potentissime lobby che governano il web. E’ uno scenario inquietante: siamo passati dall’emergenza sanitaria a quella socio-economica ed ora a quella democratica. In questo senso il dato più sensibile – la storia ci insegna – è sempre quello che riguarda la libertà di culto, espressione della garanzia di rispetto dell’anima più profonda di ogni essere umano. Libertà di credere e di non credere: entrambe da riconoscere e tutelare, salvo precipitare nell’abisso dello “stato etico”, tanto caro a tutte le dittature.

Ma non è sufficiente affermare la libertà di religione come principio, se poi nella sostanza si nega la possibilità di esercitarla o si equipara il culto ad una “attività ludica” di cui si può fare tranquillamente a meno. Per carità, soprattutto in questi ultimi decenni ci siamo abituati a questi atteggiamenti schizofrenici. Due esempi, fra i numerosi che si potrebbero fare. Il primo di ordine etico-culturale: mentre si dichiara il diritto alla vita e alla salute, si sostiene altresì il diritto alla morte, financo al suicidio. Il secondo di ordine economico: mentre si dichiara l’importanza della famiglia come cellula fondamentale della società, soprattutto in regime di emergenza, si fa veramente poco, inaccetabilmente poco per sostenerla.

I provvedimenti contenuti nel DL “Cura Italia“ destinati alle famiglie sono oggettivamente risibili. Pensiamo ad un artigiano che ha la saracinesca del suo negozio abbassata, che non incassa un solo euro, che ha moglie e figli da mantenere: che cosa credete possa farsene di 600 euro mensili. Forse ci paga l’affitto del negozio. Nulla di più. E il credito d’imposta – diciamolo chiaramente – è solo un provvedimento di bandiera privo di efficacia, perché dove mai troverà i soldi per pagare comunque una tassa, anche se ridotta? Si può fare di più? Certamente sì, ma serve la volontà politica per farlo, mettendo in scaletta le priorità d’intervento.

Non spetta al semplice cittadino indicare le strategie necessarie, ma spetta a chi è stato eletto per governare di fare il suo dovere. Ci sono capitoli di spesa intoccabili e ce ne sono altri che possono attendere. Ogni anno l’Italia versa all’UE quasi 40 miliardi di euro, in nome di un principio di collaborazione/cooperazione fra gli stati a favore dei vari popoli: oggi non si tratta di essere europeisti o meno, si tratta di guardare in faccia alla realtà e questa, purtroppo, ci dice che “ognuno si fa i fatti suoi”. Della serie, ognuno per sé e neanche Dio per tutti, perché Dio non ha posto in questa Europa del capitale! Chissà se verrà il giorno in cui un addetto ai lavori risponderà onestamente alla più semplice delle domande che noi, poveri cittadini della strada, ci poniamo: “perché dobbiamo buttare al vento decine di miliardi di euro per mantenere due agenzie (Bruxelles e Strasburgo) che fanno esattamente la stessa cosa? Demagogia? Bene, se di demagogia si tratta, venga confutata con dati concreti alla mano. Se no, si applichi una virtuosa “spending review” a partire proprio dalle pletoriche istituzioni europee.

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