La Chiesa in uscita, testimoniata da Papa Francesco, sperimenta quotidianamente la complessità dell’informazione nell’epoca della globalizzazione. I tempi che stiamo vivendo sono complessi. Con il crollo del muro di Berlino il mondo sembrava prossimo a un’epoca di pace. In realtà non ci sono mai state tante guerre come nell’ultimo quarto di secolo. Significativamente il Pontefice ha coniato l’espressione “terza guerra mondiale a pezzi”. L’informazione è sempre più “glocal” cioè tenta di raccontare l’universale a partire dal particolare. Ma è un compito tutt’altro che semplice. Riferimenti spirituali per i comunicatori sociali e i testimoni della pastorale dei mass media sono principalmente due figure (Angelo Roncalli e Jorge Mario Bergoglio) che si possono unire per molti motivi. Il primo è quello anagrafico. Entrambi i cardinali sono stati eletti papa ad un’età avanzata. E hanno portato saggezza e profezia nelle due epoche storiche in cui sono stati chiamati a guidare la Chiesa cattolica. Il secondo motivo è il richiamo ad una Chiesa ispirata al Vangelo, alla sequela di Cristo. Poi il ritorno ad una dimensione evangelica delle prime comunità cristiane ma in grado di dialogare con il mondo. Inoltre, la riforma e l’aggiornamento delle strutture ecclesiastiche per entrambi i pontefici ha significato e significa nel caso di Francesco, il ritorno ad una dimensione di evangelizzazione delle genti e di coerenza nella fede da vivere come dono e non come bene esclusivo. Il terzo aspetto è legato al nome. Angelo Roncalli ha deciso di richiamarsi a Giovanni e ha ripreso il nome di un antipapa mentre Bergoglio è diventato Francesco, ispirandosi alla povertà e alla forza del Poverello di Assisi, un santo moderno e capace di suscitare in ogni epoca una attrazione verso il bene e il buono. Un altro aspetto è indicato nei due termini “buono” e “misericordioso”. Dal Concilio ad oggi, sensibilità diverse nel quadro di un cristianesimo, che libero da incrostazioni e sovrastrutture, va al cuore del suo messaggio di salvezza.
Il Concilio è stato messo in pratica più nel Sud America e nelle chiese povere che non qui in Europa. Colpisce ad esempio il riferimento alla liturgia viva, al senso di comunità, al ruolo dei catechisti e dei laici. Cose che chi è stato in missione può raccontare e che chi arriva da lì percepisce immediatamente. Il nuovi linguaggi della fede condividono una particolare attenzione al tema della donna nella società e nella Chiesa. E ad argomenti di attualità come la fragilità, l’amicizia, la relazione. Il quadro generale è irto di ostacoli e insidie. Oggi i social rischiano di favorire la patologia della comunicazione e la disgregazione dei corpi sociali. La parola “social” è diventata un sinonimo della parola “media” e dunque di comunicazione sociale a tutti i livelli (personale e di massa) e con ogni modalità (digitale e multimediale), dalla telefonata al tweet. Papa Francesco rappresenta in qualche modo l’esempio vivente di chi riesce a comunicare con tutta la sua persona. Ma anche con ogni strumento, come dimostrano ora le sue parole ora le sue mani, ora le sue telefonate a qualcuno e i suoi tweet. Come sottolineato su In Terris dal missionario scalabriniano padre Gaetano Saracino, il percorso e gli strumenti cambiano nel tempo – quindi si fa anche ricorso ai tweet nell’era dei social network –, ma il punto d’arrivo è sempre l’esperienza di un incontro personale con Gesù, che trasforma le relazioni con gli altri, con la società, con l’ambiente. Del resto la Chiesa ha sempre annunciato il Vangelo attraverso i canali attivi in un preciso momento storico. Rintracciare tweet e post nella storia dell’evangelizzazione non è semplice. Se non altro perché sono forme di linguaggio inedite, almeno fino a poco tempo fa. “A guardar bene forme di linguaggio innovativo non sono del tutto estranee all’annuncio del Vangelo – spiega padre Saracino-. Non saranno tweet, post o blog, ma il segno della croce o il suono delle campane sono ovviamente ben più di un flash mob e di un trill, ne precorrono la forma, richiamano al mistero e durano ancora“.
Gesù stesso ha dato prova di saperci fare con la comunicazione. “Da Nazaret scese a Cafarnao a predicare. Dunque da un luogo isolato ed arroccato ad un porto di lago, il mare di Galilea, per altro attraversato dalla via dell’impero, il cardo maximus, che portava a Damasco, sede di una dogana e in rapporti commerciali con l’alta Galilea, la Siria, la Fenicia, l’Asia Minore, Cipro e l’Africa – osserva padre Saracino-. E lo stesso Figlio di Dio accompagna i fedeli dall’Annunciazione all’Annuncio. D’altronde: ‘il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi’ (Gv 1,14)”. Sembra trascorsa un’era geologica da quando Benedetto XVI inaugurava dallo schermo di un iPad la sua presenza su Twitter, aprendo otto account in altrettante lingue, cui si è aggiunta poco dopo quella in latino. Venne spontaneo collegare quell’evento al gesto di Pio XI, che nel 1931 dai microfoni di Radio Vaticana lanciava il suo primo messaggio radiofonico e, ancor prima, la benedizione impressa da Leone XIII nel 1896 sulla pellicola dei fratelli Lumière. La pellicola del cinema e il microfono di una radio da una parte e un iPad aperto su un social dall’altra, costituiscono forme differenti di comunicazione corrispondenti a quasi due epoche ma, come la radio ha rappresentato la trasmissione dell’informazione ad ampio raggio, così Twitter (diventata ora X) rappresenta la conoscenza connettiva e condivisa, rispondendo al modo attivo di comunicare odierno.