Sempre più numerose le riunioni delle varie espressioni del mondo liberale, di quelle eredi del popolarismo, e del socialismo. Orgogliosi del loro passato, recriminano sugli eventi che hanno condotto alla seconda repubblica e al decadimento della politica italiana e con esso l’efficacia delle istituzioni e come conseguenza di questi casi, l’economia assediata dall’ormai perenne ed inarrestabile debito pubblico. Essi segnalano il disagio per l’impronta populista assai presente nelle formazioni politiche e paragonano le floride passate stagioni con quelle disastrose odierne e accennano al ritorno nella scena politica. Ma credo che uno sviluppo così necessario al cambiamento possa concretizzarsi alla condizione che si considerino 2 aspetti essenziali. Il primo che queste gloriose culture politiche provenienti da filosofie ed esperienze assai feconde sappiano superare l’autoreferenzialità che tuttora non permette loro di raggiungere quella soglia necessaria di sfuggire alla mannaia delle leggi elettorali maggioritarie, mantenute in funzione proprio per evitare che posizioni moderate possano conseguire una propria consistenza politica.
D’altronde, chi ha il pallino in mano ha giocato e gioca su due aspetti per conservare il controllo del gioco politico: assorbe nelle proprie formazioni piccole porzioni di popolari, di socialisti, di liberali, assegnando loro quel minimo indispensabile di presenza che però non compromette l’equilibrio desiderato; fa conto del larghissimo astensionismo costituito essenzialmente da elettori stomacati dalla attuale situazione politica e che potenzialmente potrebbero essere attratti dalla costituzione di un nuovo ed importante soggetto moderato. L’altro nodo da sciogliere per loro è la rielaborazione profonda della proposta politica strettamente legata alla modernità, che richiede più Europa e nuove istituzioni globali per governo della pace, della economia, dei poteri privati non confliggenti con interessi generali. Questi nodi, se non sciolti, ne produrranno altri fino a rendere problematici la convivenza pacifica: confronto tra Democrazie ed autocrazie, l’equilibrio di potere tra capitale e Stati, i confini della libertà tra sfera ed interessi dei singoli e quelli collettivi. Ed ancora chiarire come darsi l’obiettivo per giungere ad un patto sociale su sanità e scuola, così come sui poteri dei soggetti collettivi del lavoro, ridefinizione del welfare, riduzione prelievo fiscale e trasparenza dell’uso che se ne fa.
Poi proposte radicali sui sistemi dell’espressione della rappresentanza politica e del funzionamento della democrazia nelle associazioni della politica per curare la grave malattia della politica segnalata dall’enorme astensionismo dal voto. Ed allora su questi temi, le culture politiche che intendono ritornare nel campo della politica, possono trovare la forza per unirsi in un tutt’uno e superare le loro diaspore. Una formazione centrista attenta all’economia, rigorosa sulla spesa pubblica, attenta al decoro e stabilità nelle istituzioni, davvero europeista, farà la differenza per correggere gli errori che notiamo nella nostra vita quotidiana.