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I complici della violenza sulle donne

Le scarpe e le panchine rosse sono diventati simboli che rappresentano la battaglia contro i maltrattamenti e femminicidi. Oggi si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. La ricorrenza venne ufficializzata esattamente 25 anni fa e il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan definì la violenza contro le donne “una delle più vergognose violazioni dei diritti umani”. In un quarto di secolo la situazione è tutt’altro che migliorata. La violenza sulle donne, secondo il Pontefice, “è una velenosa gramigna che affligge la nostra società e che va eliminata dalle radici”. E queste radici sono culturali e mentali, crescono nel terreno del pregiudizio, del possesso, dell’ingiustizia.

Invece in troppi luoghi e troppe situazioni le donne sono messe in secondo piano, sono considerate inferiori, come oggetti. “E se una persona è ridotta a una cosa, allora non se ne vede più la dignità, la si considera solo una proprietà di cui si può disporre in tutto. Fino addirittura a sopprimerla – avverte il Santo Padre – Quante donne sono sopraffatte dal peso e dal dramma della violenza? Quante sono maltrattate, abusate, schiavizzate, vittime della prepotenza di chi pensa di poter disporre del loro corpo e della loro vita, obbligate ad arrendersi alla cupidigia degli uomini”.

Di tutte le forme di violenza di genere quella barbaramente esercitata sulle vittime della tratta è la più “invisibile” e rimossa dall’opinione pubblica. Nella prefazione al mio libro “Donne crocifisse. La vergogna della tratta raccontata dalla strada” papa Francesco scrive: “Una persona non può mai essere messa in vendita, così l’iniquità del mondo ricade sulle più fragili e indifese creature. È una ferita alla coscienza collettiva, è patologica la mentalità per cui una donna vada sfruttata come se fosse una merce da usare e poi gettare. È una malattia dell’umanità, un modo sbagliato di pensare della società”.

Una notte mi trovavo a Perugia nella zona di Pian di Massiano dove si ritrova un gruppo (chiamato Goel) a pregare ogni sabato il Santo Rosario a mezzanotte. Un’invocazione a Dio per le donne schiavizzate, che sono lì accanto, sui cigli delle strade e spesso impossibilitate ad attraversarle per aggregarsi a noi nella preghiera. Un Rosario recitato nella cattedrale del cielo al cospetto di una modesta statua della Vergine di Fatima, illuminata da quelle piccole fiaccole che continuano incessantemente ad accendersi da decenni per donare la speranza di una rinascita e il coraggio di abbandonare la strada strappando le catene della servitù.

Da quel fazzoletto di terra macchiata di sangue sono venute via molte ragazzine vittime della prostituzione coatta, recuperate dalla Vergine Maria. E sempre da quel piazzale, frequentato negli anni da migliaia di uomini e donne, giovani desiderosi di condividere questa esperienza unica di evangelizzazione, sono nate conversioni e anche vocazioni al sacerdozio. 

Rileggere l’ultimo grido d’allarme delle vittime di femminicidi stringe un nodo di angoscia in gola. “Mi spaventi perché so come sei fatto: mi vieni a cercare e mi fai paura“, messaggia una studentessa al fidanzato che pochi giorni dopo l’avrebbe uccisa. Da educatore all’oratorio Carlo Acutis riscontro quotidianamente la centralità dell’educazione. E’ fondamentale il ruolo delle famiglie perché i condizionamenti di ogni tipo vanno contrastati con un’azione educativa che, a partire dalle mura domestiche, valorizzi la persona con la sua dignità.

La risposta agli abusi fisici e psicologici sulle donne è la riscoperta delle forme di relazioni giuste ed equilibrate, basate sul rispetto e sul riconoscimento reciproco. In famiglia, i genitori continuano ad avere un ruolo fondamentale nell’educare i figli al rispetto sacrosanto nei confronti di ogni essere umano e di avere sempre verso la donna la più grande attenzione. Da come trattiamo la donna, in tutte le sue dimensioni, si rivela il nostro grado di umanità”, raccomanda il Papa.

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don Aldo Buonaiuto
don Aldo Buonaiuto
Fondatore e direttore editoriale di In Terris, è un sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da anni è impegnato nella lotta contro la prostituzione schiavizzata

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