La storia dei milioni di emendamenti che ha visto contrapposti il presidente del Senato Grasso e il leghista Calderoli apre uno spaccato sulla società che va molto al di là del regolamento parlamentare e della contrapposizione politica. Attiene invece all’incapacità tutta italiana di autoregolarsi, di controllarsi, di mettere dei limiti che non siano scritti nero su bianco ma restino nell’empireo delle buone intenzioni, del convivere civilmente, del rispetto reciproco. Non accade solo ai politici, ma ne siamo spesso incarnazione anche noi, in mille rivoli quotidiani. Diciamolo pure: siamo “squilibrati”.
Quando parcheggiamo davanti a un cancello, sapendo di creare disagio, ma ci trinceriamo dietro un “non c’è alcun cartello”; oppure quando proviamo a scavalcare una fila con la scusa del “non c’è scritto da nessuna parte”, e così via. In assenza di norme vale la legge del più forte, o se vogliamo del più furbo. L’idea che ci sia un’etica anche nella convivenza, nella maggior parte dei casi non sfiora le menti dei nostri concittadini, pronti ad approfittare di ogni buco, pertugio, falla che la normativa o il regolamento di turno lascia aperte.
Poi però ci lamentiamo del fatto che l’Italia sia la Patria di leggi e leggine, che ogni cosa venga normata da un dispositivo o un regolamento. Ci scagliamo contro il mostro della burocrazia, senza calcolare il fatto che sono proprio i nostri comportamenti ad alimentarlo, costringendo a definire per iscritto concetti che dovrebbero essere assodati e condivisi senza bisogno di codifiche. Siamo capaci di sorprenderci solo quando sono gli altri a utilizzare in modo strumentale l’assenza di divieti.
Perché dunque sorprendersi se Calderoli presenta milioni di emendamenti quando nel regolamento non c’è espressamente scritto il contrario? Perché stupirsi del fatto che, anche se è ovvio che ci vorrebbero decenni per discuterli tutti – e dunque è un’operazione impossibile da effettuare – si sia deciso di presentarli ugualmente? Parafrasando una nota canzone verrebbe da dire che siamo così, follemente complicati.
La politica infine, ha diverse responsabilità. Chi rappresenta le istituzioni ha un dovere in più rispetto all’esempio da dare al popolo; e dunque è sbagliata l’abitudine all’uso strumentale della parola “politica” per sdoganare qualunque attività, anche la più illogica, giustificandola con una presunta “lotta” contro prepotenze e soverchierie altrui. In tutto ciò il concetto di efficienza istituzionale viene annichilito, quello di rispetto degli elettori dimenticato. Ma in fondo, a pensarci bene, non sta scritto da nessuna parte che debbano essere bagaglio di un popolo.