Sono nati nel nuovo millennio, non hanno visto cadere il muro di Berlino e non hanno vissuto in diretta l’attentato alle Torri Gemelle. Erano appena nati quando l’Italia ha vinto il mondiale, quello del 2006, di quello vinto nel 1982 hanno saputo consultando internet e non hanno sognato nelle “notti magiche” di Italia ’90: sono i quindicenni di oggi, nativi digitali, cresciuti all’ombra della crisi economica.
Un’indagine Ocse ci ha raccontato le aspirazioni di questi ragazzi partendo dalla domanda “che cosa vuoi fare da grande?” Ebbene, la risposta è la stessa di venti anni fa: la ragazze vorrebbero diventare dottoresse, insegnanti e manager, i ragazzi ingegneri, manager e dottori.
Come è possibile? In due decenni tutto è cambiato, compreso il mondo del lavoro, tutti gli esperti parlano di straordinarie opportunità legate al digitale, di nuove frontiere anche per le lauree più classiche, di un mondo nel quale – per fare un esempio – la classica laurea in filosofia può aprire le strade alla roboetica, alla gestione delle risorse umane o agli studi di etica del lavoro; eppure prevale il sogno di un mestiere che l’Ocse chiama “popolare e tradizionale”. Siamo difronte a dei giovani nostalgici? No, si tratta piuttosto di giovani che sognano troppo poco e che si limitano a scegliere tra le professioni note, a portata di mano. Troppi adolescenti, sottolinea l’indagine, stanno ignorando o non conoscono i nuovi lavori, in particolare – e questo è paradossale – quelli che derivano dalla digitalizzazione.
Questi ragazzi non conoscono quale percorso di formazione sia necessario per fare il lavoro che desiderano, non conoscono il concetto di “orientamento professionale” e, soprattutto, non sembrano disposti a studiare. A questo si aggiunge una sorta di rassegnazione alla disuguaglianza per cui molti studenti con ottimi risultati non pensano di poter aspirare a carriere di successo.
Una fotografia che pone degli interrogativi al mondo degli adulti che troppo facilmente utilizzano le statistiche per giudicare i giovani assecondando una perversa forma di narcisismo per la quale si finisce sempre a parlare di se stessi: ai miei tempi… io alla tua età… il consiglio da dare “ai grandi” è quello di mettere i ragazzi al centro e lasciare che gli adulti facciano un passo accanto: per sostenerli, accompagnarli e spiegare loro che i sogni nei cassetti fanno la muffa e che vanno tirati fuori per realizzarli, “ai nostri tempi”…. come ai loro!