In questi ultimi anni è progredita, ad esempio, la riflessione sull’uso dei droni, sulla liceità di sistemi di armi autonome, che escludono l’attore umano dalla presa di decisioni letali. A questo proposito, per comprendere la posizione della Santa Sede è utile rileggere l’intervento dell’arcivescovo Silvano M. Tomasi, già Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e delle Istituzioni Internazionali a Ginevra. L’intervento della Santa Sede a Ginevra per la proibizione di armi letali risale al maggio 2014. A questo tema il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace aveva dedicato nel 1994 un testo pubblicato dalla Tipografia Vaticana: “Il commercio internazionale delle armi”. Sono almeno tre gli argomenti contrari alla difesa nucleare. Anzitutto, essa è ostacolata dal principio di separazione tra ius ad bellum e ius in bello. Secondo il diritto internazionale dei conflitti armati (ius in bello), l’aggredito deve reagire con una difesa legittima, anche in caso di aggressione illegittima per il diritto internazionale sull’uso della forza armata (ius ad bellum). In altri termini, una violazione dello ius ad bellum non autorizza la violazione dello ius in bello. Per quanto la conclusione sia difficile, in base ai principi generali, un attacco nucleare che minacci la sopravvivenza di uno Stato (contrario allo ius ad bellum) non legittima la difesa nucleare (contraria allo ius in bello).
In secondo luogo, la difesa nucleare non sembra rispettare una delle condizioni per la legittimità della difesa, cioè il bilancio delle conseguenze. Nel solco di una lunga tradizione morale e giuridica, l’insegnamento sociale della Chiesa ritiene che non è legittima la difesa – anche se proporzionata all’offesa – qualora provochi mali maggiori del male da eliminare. Una posizione ribadita dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa. In terzo luogo, la difesa nucleare appare in sé inopportuna, considerata la natura delle armi nucleari. Proprio per questo, a livello di prospettiva etica, nella Dottrina sociale della Chiesa, si è dovuta ripensare la teoria della guerra “giusta”, in quanto sempre più difficilmente giustificabile, anche quando si pensasse all’impiego delle cosiddette armi “intelligenti” o “pulite”. Questo ha sollecitato a valutare quali siano le condizioni per un disarmo nucleare generale. Una guerra, infatti, apparirebbe “giusta”, più razionale e giustificabile, entro i limiti di un disarmo nucleare generale accettato da tutti, sulla base del cosiddetto principio di sufficienza. Secondo tale principio, lo Stato possiederebbe solo le armi necessarie per la legittima difesa dei popoli. Il che ha fatto riflettere anche su quale tipo di armi gli Stati possano possedere in vista di una legittima difesa, ossia su un tipo di armi che consenta di difendere i popoli ma non di eliminarli. E, inoltre, su cosa fare affinché tutti gli Stati accettino di convenire sul principio di sufficienza, ossia sull’idea di possedere solo le armi necessarie per la legittima difesa, ma che non siano nucleari.
A questo proposito, non va ignorato che oggigiorno la prospettiva di una legittima difesa secondo il principio di sufficienza, principio fondamentale della Dottrina sociale della Chiesa in tema di disarmo, sembra essere di fatto vanificata. Infatti, specie dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 e di questi ultimi anni, gli Stati, anziché impegnarsi in un serio e sistematico disarmo nucleare, hanno incrementato la corsa verso armamenti sempre più sofisticati e micidiali, prospettando addirittura la soluzione di una difesa preventiva (rispetto ad un attacco non imminente, ma possibile), che porta inevitabilmente ad un’escalation delle ostilità, verso una guerra totale. Il quadro odierno non sembra, dunque, per nulla rassicurante. E non bisogna dimenticare che, nel caso sopra configurato di una guerra di legittima difesa, guerra “giusta” perché avverrebbe nel contesto di un disarmo nucleare generale e userebbe un tipo di armi “convenzionali”, essa rimane comunque una soluzione estrema e che, purtroppo, come ogni guerra, produce distruzioni e morti.
Cose tutte che fanno capire come non bisogna cessare dal ricercare vie più degne dell’uomo per la prevenzione e la composizione di eventuali conflitti, per la realizzazione della pace. Le attuali politiche e strategie di guerra, la possibilità non platonica dell’olocausto nucleare mondiale, la stessa necessità di difendere efficacemente i popoli, i cittadini e i loro beni con mezzi che non comportino la minaccia dell’annientamento, stanno accreditando sempre più l’azione non violenta come vera alternativa realistica alla violenza e alla guerra. Tale azione non violenta, al pari della guerra, delle tirannie e delle ingiustizie, può avere diverse forme, in rapporto ai problemi in una data situazione. Si possono elencare, ad esempio, la disobbedienza civile, l’obiezione di coscienza, il boicottaggio sociale, lo sciopero anche generale, il picchettaggio, il digiuno, l’obiezione fiscale, la non collaborazione (resistenza non violenta), la difesa popolare organizzata o difesa civile non violenta, istituita da un Governo come parte del suo piano di difesa, il “Governo parallelo”, le sanzioni internazionali (come nel caso della guerra tra Russia ed Ucraina). Tenendo conto, però, dell’ampiezza dei cambiamenti culturali e politici che quest’ultima scelta comporta, una tale via, nonostante sia fortemente auspicabile e vada perseguita con tutte le forze, oggi appare una prospettiva non realizzabile, né a corto né a medio termine. Se non cambiano le cose anche a livello internazionale, sembra che la via della difesa civile non violenta sia destinata a coesistere per molto tempo ancora con le forme di difesa militare.