I 40 anni dell’Atto di affidamento. Giubileo delle Famiglie

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Quattro decenni a difesa delle famiglie. Il Magistero sociale e i 40 anni del Giubileo delle Famiglie. Nel 1984 in unione spirituale con tutti i vescovi del mondo, Giovanni Paolo II proclamò l’ Atto di affidamento degli uomini e dei popoli a Maria Santissima, davanti all’Immagine della Madonna di Fátima, in Piazza San Pietro. Esattamente un decennio dopo, nel 1994, la Santa Sede alzò la voce alla conferenza internazionale dell’Onu sulla popolazione e lo sviluppo al Cairo. Come non ebbe esitazioni né timori a contrapporsi al comunismo e al capitalismo, allo stesso modo Karol Wojtyla puntò l’indice contro le croniche inefficienze e i drammatici errori di fondo delle organizzazioni internazionali. Il cardinale Renato Raffaele Martino, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu durante la conferenza del Cairo, ha raccontato quello snodo fondamentale del pontificato di Giovanni Paolo II nella memoria La testimonianza della verità e il dialogo politico-diplomatico pubblicata sul “Bollettino di Dottrina sociale della  Chiesa”. Racconta il cardinale Martino: “In veste di nunzio apostolico presenziai sia alla conferenza al Cairo, la cui organizzazione fu affidata al controverso ‘Fondo specializzato per la popolazione’, sia alla conferenza sulle donne di Pechino che l’anno successivo ne mutuò in blocco le formulazioni sulla salute e sulla decostruzione della sessualità responsabile”.

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E cioè “dall’individuazione della categoria-chiave del gender all’idea stupefacente che solo i bambini realmente voluti hanno diritto a nascere», oltre a “un sensibile passo indietro nel campo della libertà religiosa“. La Santa Sede riaffermò le profonde motivazioni del progetto biblico di Dio sull’uomo, che è un piano di bontà e di felicità, ribadendo l’immagine del divino che ogni uomo a ogni latitudine porta con sé e sulla natura fondamentalmente relazionale di ogni persona“. Quindi “il campo della sessualità rientra comunque nella sfera sociale, interpersonale e dunque pubblica dell’agire umano”. Ma l’agenda programmatica della conferenza dell’Onu, appoggiata da Stati Uniti e Unione Europea, stabilì l’imposizione arbitraria di qualsiasi mezzo per il controllo delle nascite o pianificazione familiare. Per la Santa Sede si trattava di “un invito all’immoralità di massa e al libero crimine nel caso dei bambini già concepiti“, rievocò il cardinale Martino. Giovanni Paolo II comprese subito come la nuova minaccia fosse ancora più insidiosa dell’ateismo. C’era infatti un relativismo etico, sempre più diffuso, e che faceva da supporto a una certa cultura dominante nel mettere tra parentesi gli imperativi della legge morale. Arrivando, da un lato, a minare le basi stesse della società. Dall’altro, con la legalizzazione dell’aborto, ad abbassare addirittura i confini tra la vita e la morte

La basilica papale di Santa Maria Maggiore di Roma. Credit: CARLO CARINO

A dare una ferma risposta, saranno due encicliche rimaste famose: la Veritatis Splendor e l’Evangelium Vitae. Impossibile, perciò, negare che l’umanesimo stesse attraversando una profonda crisi. Così com’era impossibile negare che ci fossero sempre più uomini, i quali vivevano, a vari livelli, in una situazione di grave degrado individuale e sociale. E tuttavia il Papa, nella sua analisi, non si fermò qui, agli aspetti negativi. Appunto perché convinto che ogni uomo fosse capace sì di grandi malvagità e di errori. Ma anche, di profondi e sinceri slanci solidali. Era una concezione dell’uomo che Karol Wojtyla aveva maturato – già ai tempi di Cracovia – non in opposizione a un qualche sistema culturale o politico, né tantomeno a una qualche ideologia, bensì attraverso una riflessione spirituale, teologica, filosofica. Partendo dal Vangelo, dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II e, insieme, dalla concretezza della condizione umana, dalla complessità dell’esistenza personale e della convivenza civile. Insomma, era quella “svolta” antropologica che, con grave scandalo di quanti erano ancora fermi alla contrapposizione fra teocentrismo e antropocentrismo, portò a proclamare la “verità” sull’uomo, sulla sua singolarità unica di persona, in possesso di diritti inalienabili.

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Così, quando scrisse la sua prima enciclica, la Redemptor Hominis, Giovanni Paolo II non fece altro che attingere alla memoria e all’esperienza ciò che già viveva al momento di salire al soglio pontificio. “Con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un
certo modo a ogni uomo”. Come dire che c’è un rapporto profondo tra il mistero della Redenzione e la dignità dell’individuo. Capace di rimanere aperto a grandi speranze, a importanti obiettivi. E spesso, senza nemmeno che lo volesse, o senza nemmeno che lo sentisse dentro di sé, quest’uomo era alla ricerca di infinito, di trascendenza, per ritrovare la dimensione costitutiva del suo stesso essere andando a fondo, significava liquidare per sempre ogni tentazione di ritornare al vecchio integralismo religioso. Ma significava anche che, per ridire credibilmente il messaggio di Cristo all’uomo d’oggi, ci fosse bisogno di una forte crescita del cattolicesimo sul piano spirituale e morale.

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“Ecclesia semper reformanda”. Quell’espressione – segno distintivo di una Chiesa impegnata a riesaminare continuamente se stessa – era nata in ambiente protestante, con la Riforma, con il Pietismo olandese. Ma poi, arrivato il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica aveva preso nuovamente consapevolezza di quell’elemento fondamentale della propria natura, “santa insieme e sempre bisognosa di purificazione”, che per troppo tempo aveva sacrificato a un atteggiamento apologetico. E l’arcivescovo Karol Wojtyla aveva vissuto in prima persona quello straordinario cambiamento.