Si celebra il 5 dicembre la Giornata Mondiale del Suolo, istituita dalle Nazioni Unite e della FAO per sensibilizzare la popolazione mondiale verso la cura dei terreni, beni essenziali per la biodiversità e le produzioni agroalimentari. Quest’anno la ricorrenza è dedicata al tema “Suolo e Acqua fonte di vita”, una scelta che ci consente di omaggiare due risorse insostituibili, non riproducibili, non delocalizzabili.
Come sindacato dei lavoratori agroalimentari e ambientali siamo coinvolti e in prima linea, anzitutto perché il settore primario è forse quello che più di tutti, e prima di tutti, subisce gli effetti dei cambiamenti climatici. Lo abbiamo visto in maniera evidente con la siccità e le alluvioni che hanno colpito tanti territori in Italia e non solo, e con un anno che si chiuderà come uno tra i più caldi mai registrati, con gravi conseguenze soprattutto sulle coltivazioni e le riserve idriche.
La nota positiva è che l’Italia è al primo posto in Europa per tanti indicatori di sostenibilità, anche per quanto riguarda il sistema agroalimentare e quello zootecnico. E non dovremmo mai dimenticare che proprio i lavoratori e gli imprenditori agricoli rappresentano un presidio fondamentale per la tutela del suolo e delle aree interne. Questo è il senso della nostra campagna “Fai Bella l’Italia”, che mette in primo piano la necessità di riconoscere il ruolo delle nostre “tute verdi”, cioè i lavoratori agricoli, forestali e dei consorzi di bonifica. Il ruolo del sindacato è determinante in questa sfida, che chiama in causa direttamente la nostra capacità di remare in direzione dei 17 obiettivi Onu al 2030, purtroppo ben lontani dall’essere raggiunti.
Siamo orgogliosi di aver portato la nostra testimonianza, in questi giorni, anche in due appuntamenti importanti: l’assemblea annuale dell’Uncem e il congresso nazionale di Legambiente. Due spazi importanti di riflessione e di alleanze in cui abbiamo ribadito il doppio livello della nostra azione: primo, quello della buona contrattazione e, secondo, quello delle battaglie sui tavoli istituzionali.
Dal punto di vista della contrattazione, abbiamo portato oramai il tema della sostenibilità ambientale a pieno titolo dentro le negoziazioni con le parti datoriali, favorendo la partecipazione attiva dei lavoratori nelle aziende per orientare le innovazioni a favore dell’ambiente.
Mentre dal punto di vista delle battaglie istituzionali, la sfida è intervenire su alcuni dossier urgenti. Primo punto, il contrasto e la prevenzione del dissesto idrogeologico. Solo nel 2022, ha rilevato l’Ispra, abbiamo consumato 77 km quadrati, 2,4 metri quadrati di suolo al secondo, ovvero oltre il 10% in più rispetto al 2021; in un anno la nostra agricoltura ha perso 4500 ettari coltivati a causa del consumo di suolo. Ecco perché con la nostra campagna “Non c’è cibo senza terra” stiamo chiedendo insistentemente una legge nazionale contro il consumo di suolo. Ed ecco perché il dimezzamento dei 2,49 miliardi stanziati per il dissesto idrogeologico è un errore grave del Governo da riparare al più presto. Come ha detto il Presidente Mattarella, due mesi fa, nel 60mo anniversario della tragedia del Vajont: “A un intervento dell’uomo che si traduca in prevaricazione, corrisponde la violenza della natura”. Quindi non dovremmo più piangere sulle vittime e sui soldi spesi per riparare i danni, ma imparare a investire sulla prevenzione e a non abusare più della natura.
Secondo tema, la cura dell’acqua. Ne sprechiamo ogni anno 157 litri per abitante, in fase di distribuzione ne perdiamo oltre il 42% di quella immessa in acquedotto, eppure l’acqua è una risorsa fondamentale per la vita, per l’agricoltura, per tutte le produzioni. Ecco perché dovremmo investire di più sui Consorzi di Bonifica e valorizzarne il lavoro con riconoscimenti maggiori sia normativi che economici per tutti gli addetti.
Terza sfida, quella per il nostro patrimonio boschivo, che rappresenta il 37% della superficie nazionale ma è cresciuto soltanto a causa dell’abbandono. Serve una vera riforma del settore forestale, che non è un ammortizzatore sociale, ma un comparto da finanziare in maniera strutturale e produttiva, perché sarà sempre più strategico e sempre più multifunzionale.
Quarto punto, l’abbandono delle aree interne. Per invertire la rotta, non servono investimenti a pioggia, ma un approccio strutturale, di sistema. Che vuol dire infrastrutture, agevolazioni fiscali che chi vive e lavora in aree montane, comunità energetiche, e vuol dire soprattutto investire sul lavoro ben retribuito, tutelato e qualificato nei comparti della forestazione, della bonifica, dell’agricoltura, dell’acquacoltura, del sistema zootecnico: perché senza questo, non può esserci riscatto delle aree interne né cura del suolo.
Di questi aspetti, però, non si è parlato molto nella Cop28, all’incontro annuale delle Nazioni Unite sul clima. Un summit che sembra aver ribadito l’esistenza di due approcci, entrambi fallimentari. Da un lato, i sostenitori di una sostenibilità forte, che vorrebbe dismettere radicalmente tutti i sistemi produttivi del passato, con gravi conseguenze per l’economia e la coesione sociale. Dall’altro lato, i sostenitori di una transizione annacquata, debole, che è quella di chi vuole prendere continuamente tempo o addirittura negare i cambiamenti climatici. Mentre sarebbe fondamentale andare oltre questo dualismo ed esercitare, concretamente, una transizione giusta: quella che non lascia indietro nessuno e in cui siamo tutti parte attiva, ciascuno con la propria responsabilità.