Qualsiasi diritto discende dall’indisponibilità della vita umana. La pietra miliare del bene comune sta nella difesa della vita dal concepito alla morte naturale, non c’è morale che può ignorare questo principio. Quelli che sono i cardini della convivenza comune, affondano le loro radici nel messaggio di salvezza cristiano che ha elevato la dignità, l’unicità e il valore intrinseco di ogni persona, a prescindere dalle sue capacità cognitive e produttive.
La Chiesa ce lo ricorda in ogni atto del suo magistero. Papa Francesco non perde occasione per denunciare la cultura dello scarto, usando parole particolarmente dure soprattutto alla luce del suo stile sempre aperto alla misericordia. Basta attingere ad uno dei suoi numerosi interventi sul tema per leggere che “quanti sono concepiti, sono figli di tutta la società, e la loro uccisione in numero enorme, con l’avallo degli Stati, costituisce un grave problema che mina alle basi la costruzione della giustizia”. E ancora il Santo Padre ha usato la parola “sicario” per definire l’atto dell’aborto mentre nella Samaritanus bonus, la lettera della Congregazione per la Dottrina della fede approvata dal Papa, si dice che “l’eutanasia è un crimine contro la vita umana”.
Vale la pena ricordare quindi in quale cornice si celebra la Giornata per la vita nelle parrocchie italiane ogni prima domenica di febbraio. Il tema scelto per il 2022 è proprio “Custodire la vita”. Nel messaggio diffuso per la ricorrenza i vescovi ci sottolineano che “il vero diritto da rivendicare è quello che ogni vita, terminale o nascente, sia adeguatamente custodita. Mettere termine a un’esistenza non è mai una vittoria, né della libertà, né dell’umanità, né della democrazia: è quasi sempre il tragico esito di persone lasciate sole con i loro problemi e la loro disperazione”. I presuli si calano nella realtà dei nostri giorni ed evidenziano che la pandemia ha messo in luce numerose fragilità a livello personale, comunitario e sociale.
I corpi intermedi della società (famiglia, comunità locali, parrocchie e associazioni…) hanno risposto con il massimo impegno all’emergenza del Covid, dimostrando che la sofferenza si affronta con la solidarietà e la vicinanza e non con libertà di togliersi di mezzo. Tuttavia questo sforzo non ha fermato la deriva mortifera culturale che avanza all’interno delle istituzioni, infatti mentre erano impegnati a salvare le vite dei più fragili in parlamento avanzavano i disegni di legge sull’eutanasia e la liberalizzazione delle cosiddette droghe leggere. Anche più preoccupanti sono le iniziative referendarie per depenalizzare l’omicidio del consenziente, disciplinato e punito dall’articolo 579 del codice penale.
Tra pochi giorni, il 15 febbraio, la Consulta deciderà se ammettere i quesiti sul suicidio assistito. Se dovesse passare anche alle urne in Italia i medici non si potranno rifiutare di dare la morte e dovranno essere allestite vere e proprie strutture per il suicidio medicalmente assistito. La nemesi per un paese con le sale parto vuote e gli indici di natalità in perenne declino. Nell’Italia che invecchia, permettere il suicidio di persone che non sono allo stato terminale (come prevede il referendum) ma che soffrono di malattie croniche inguaribili (badate bene non incurabili, la cura è prevista per tutti i malati) significa anche spalancare le porte all’abbandono terapeutico, fenomeno sempre più diffuso in tempi in cui la sanità pubblica e legata dal rispetto dei bilanci e del tetto delle spese. Insomma lo scarto dei fragili e degli improduttivi sarà garantito. Oggi più che mai questa giornata per la vita deve destare le coscienze di tutti per riaffermare la bellezza e l’inviolabilità di ogni vita. Un impegno laico di civiltà, perché la barbarie della morte non sia scambiata per pietismo libertario.