Il numero di persone costrette a fuggire nel 2022 ha raggiunto il livello record di oltre 108 milioni, con un aumento senza precedenti di 19,1 milioni rispetto all’anno precedente. Le stime senza precedenti offerte dall’Unhcr – L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati – segnano le celebrazioni di questa Giornata Mondiale del Rifugiato.
Per parlare del fenomeno bisogna per forza tenere in considerazione le guerre e le crisi che stanno sconvolgendo il mondo. Il conflitto in Ucraina è infatti la causa principale di questo aumento esponenziale delle persone sfollate dalle proprie case o, nei casi peggiori, in fuga dal proprio Paese d’appartenenza. Preoccupa anche il Sudan da cui stanno fuggendo centinaia di migliaia di persone dopo la guerra civile scoppiata da un paio di mesi tra gruppi militari che si contendono il potere. A queste situazioni più recenti si sommano crisi annose come quelle della Siria – Paese da cui è fuggito circa un terzo dei 21 milioni di abitanti registrati prima della guerra -, del Myanmar, dello Yemen e del Afghanistan.
Il rapporto Global Trends dell’Unhcr registra poi che anche nell’anno in corso il fenomeno non mostra segni di rallentamento. Del totale globale delle persone sfollate, 35,3 milioni sono rifugiati, persone che hanno attraversato un confine internazionale in cerca di sicurezza, mentre il gruppo più numeroso (il 58%, vale a dire 62,5 milioni di persone) è quello degli sfollati all’interno dei loro Paesi a causa di conflitti e della violenza. Ovviamente non si tratta di migranti economici ma di persone che secondo la convenzione di Ginevra godono dello status di rifugiati perché fuggono da conflitti o temono a ragione di essere perseguitate per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le loro opinioni politiche.
Un dato messo in evidenza nel rapporto e che smentisce molte narrazioni sull’impegno degli Stati ospitanti è quello che conferma che a subire l’onere più alto dell’assistenza sono proprio i Paesi più poveri del mondo. Sono infatti gli Stati a medio e basso reddito ad ospitare la maggior parte delle persone in fuga. Il Global Trends dell’Onu spiega che i 46 paesi meno sviluppati rappresentano meno dell’1,3% del prodotto interno lordo globale, eppure ospitano più del 20% di tutti i rifugiati. Segnala inoltre che nel 2022 i fondi disponibili per far fronte alle molte crisi di rifugiati in corso e per sostenere le comunità che li ospitano è stato molto inferiore alle necessità e rimane a tutt’oggi insufficiente nel 2023, nonostante i bisogni umanitari crescenti.
I dati forniti dall’Agenzia delle Nazioni Unite offrono tuttavia dei segnali di speranza che indicano anche una direzione in cui operare, ovvero quella dell’attività diplomatica tesa alla pace per stabilizzare intere regioni del mondo scosse da conflitti, terrorismo e guerre interetniche. Gli accordi per il cessate in fuoco in Yemen, Etiopia e Costa d’Avorio hanno dato il loro frutti e in queste nazioni molti rifugiati sono potuti tornare ad abitare nelle loro terre. L’accoglienza dei Paesi limitrofi e il sostegno economico e logistico delle Nazioni più ricche restano quindi condizioni indispensabili per evitare crisi umanitarie ma per dare una risposta duratura alle popolazioni sofferenti bisogna usare tutti gli strumenti della diplomazia internazionale. Dove le condizioni lo permettono, l’impegno della comunità internazionale deve prevedere anche missioni di peace keeping volte a tutelare le comunità colpite da violenze e persecuzioni. Quando le parti in conflitto si sono sedute intorno ad un tavolo e hanno fatto tacere le armi le persone sono tornate nelle loro case. La pace è la pietra miliare di qualsiasi forma di convivenza e politica di sviluppo e in un mondo globalizzato le guerre, anche quelle più dimenticate, busseranno sempre alle frontiere di tutti i Paesi con il loro carico di disperazione.