Ogni 1° dicembre si celebra la Giornata mondiale contro l’Aids. Oggi l’attenzione della comunità scientifica è mirata a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla diffusione del virus. L’Aids si combatte a partire dai comportamenti quotidiani. La trasmissione di HIV da soggetto infetto a sano richiede un contatto per solito intimo con un fluido corporeo contenente cellule o plasma infetto. A questo proposito sono rilevanti le pratiche sessuali, omo-eterosessuali specie con partner multipli, soprattutto se associate a traumatismo delle mucose; inoltre, la coesistenza di un’altra malattia sessualmente trasmessa come ad esempio ulcera venerea, herpes, sifilide, ecc. aumenta la probabilità di trasmissione di HIV. La tossicodipendenza con scambio di siringhe ed il conseguente contatto con sangue infetto è uno dei fattori di maggior rischio per la trasmissione di HIV ed ha rappresentato, negli anni ’80 e ’90, la principale modalità di trasmissione dell’infezione da HIV in Italia.
Attualmente anche in Italia la modalità prevalente di trasmissione è rappresentata dai rapporti omo-eterosessuali. Grazie all’efficace controllo dei donatori di sangue mediante test ELISA è quasi scomparso il rischio di trasmissione legata alle emotrasfusioni ed agli emoderivati, che hanno invece giocato un ruolo importante all’inizio dell’epidemia, quando ancora si avevano conoscenze parziali ed incomplete sulle caratteristiche del virus e le sue modalità di trasmissione. Esiste anche la possibilità di una trasmissione materno-infantile che avviene in occasione del parto e, che prima del sistematico utilizzo di zidovudina al travaglio e della HAART in corso della gravidanza, si rendeva responsabile di circa il 20% dei casi di trasmissione da madre HIV+ al bambino. Oggi, nei Paesi industrializzati questo rischio grazie ai farmaci anti HIV, si è praticamente azzerato (fatto salvo in quelle donne che non accedono alle strutture sanitarie in gravidanza) e ciò ha indirettamente favorito, il rinnovato desiderio di maternità tra le donne HIV+.
Purtroppo oggi a causa di una minore percezione del rischio una quota significativa di pazienti diventano consapevoli dell’infezione da HIV quando viene loro diagnosticata una grave patologia sia essa di natura infettiva che tumorale. Si tratta per solito di eterosessuali, in genere più anziani rispetto a quanto era dato vedere nel passato, con comportamenti a rischio (specie per rapporti eterosessuali promiscui) che non hanno attuato alcuna prevenzione né tanto meno si sono preoccupati di eseguire un test per verificare o meno l’infezione. Vengono definiti per le loro caratteristiche epidemiologiche di presentazione dell’infezione come “late presenter” ed in Italia rappresentano circa oltre il 40% delle nuove diagnosi.
In questi ultimi anni si è altresì osservato, specie in Europa e negli USA, un inquietante aumento di casi legato alla minore percezione del rischio verso HIV in tutte le fasce di età (compresi gli adolescenti) probabilmente per il falso convincimento che questa problematica non esistesse più e che comunque, se infettati, ci sono farmaci efficaci per il suo trattamento. Questa recrudescenza è soprattutto legata alla trasmissione sessuale (omo ed etero) e si è associata al consumo di particolari droghe (“chemsex”), che alterando il livello di coscienza riducono in chi li assume le misure di prevenzione con un inevitabile aumento della diffusione dell’infezione.
Le cellule che vengono primariamente infettate da HIV sono i linfociti T CD4+ che a seguito dell’infezione si riducono progressivamente di numero nell’arco temporale di anni e che condizionano il “timing” delle manifestazioni cliniche. Il decorso dell’infezione può essere diviso in tre fasi principali: una fase acuta (o infezione primaria), una fase di latenza clinica (molto lunga della durata di anni) ed una fase sintomatica, cioè l’AIDS. Le diverse fasi si caratterizzano per differenze cliniche e si accompagnano a caratteristiche fluttuazioni della viremia e del livello dei linfociti T CD4+. Dopo circa 3-6 settimane dal momento dell’infezione, il 50-70% dei soggetti manifesta la cosiddetta sindrome acuta da HIV, che corrisponde alla disseminazione sistemica del virus attraverso il sangue. La sindrome si caratterizza per la presenza di sintomi generali, talora con una sintomatologia di tipo simil-mononucleosico, anche se non sono rare le complicanze neurologiche, che spesso si manifestano come meningoencefalite, o dermatologiche in forma di rash cutaneo. I restanti soggetti contagiati non presentano alcun sintomo, e per loro il periodo della infezione primaria avviene in maniera totalmente asintomatica.
Nell’infezione primaria si ha un iniziale aumento della viremia HIV. Nelle settimane successive compare la risposta immune di tipo cellulare ed umorale dell’ospite nei confronti del virus, che si associa con un calo importante della viremia HIV e che determina lo sviluppo di una infezione cronica persistente (fase di latenza clinica). All’infezione acuta (o anche in assenza di questa) segue così la fase di latenza clinica della malattia, che si caratterizza per l’assenza di sintomi o al più con una infezione a bassa attività. La maggior parte dei soggetti HIV attualmente in trattamento con i farmaci antiretrovirali rientra per l’appunto in questa fase di infezione. La durata dell’infezione cronica asintomatica varia da soggetto a soggetto in base ai livelli di HIV-RNA nel sangue e dei linfociti T CD4+ circolanti con una mediana di sopravvivenza per chi non è trattato di circa 10 anni. La latenza è però solamente clinica e non biologica.
Infatti nonostante la scarsa attività della malattia sul piano clinico il numero dei linfociti T CD4+ tende inevitabilmente a diminuire nel tempo e con la caduta progressiva di queste cellule fanno la comparsa le malattie opportunistiche (infettive e tumorali) che consentono di diagnosticare l’infezione come AIDS. Il periodo della malattia sintomatica, può in realtà a sua volta caratterizzarsi per diverse manifestazioni che talora precedono l’AIDS conclamato e che variano in base al livello dei linfociti T CD4+ circolanti. La malattia colpendo qualsiasi distretto corporeo può determinare quindi: patologie respiratorie, cardiovascolari, epatobiliari, renali, dermatologiche, oculari, orofaringee, cutanee e neoplastiche.