Categories: Editoriale

Gioia e pace: la guerra non ha l’ultima parola

diplomatica

Gioia e pace costituiscono un binomio fondamentale nella liturgia cristiana. Insieme alla parola “luce” descrive l’esperienza e il significato dell’Incarnazione che è al centro della storia del mondo. Il profeta Isaia canta come nella «notte buia» di un futuro incerto e pieno d’angoscia, già emerge la speranza e annuncia una grande gioia e una pace che non avrà fine. Anche nella nostra epoca di guerra e pandemia sperimentiamo l’esperienza descritta dal profeta: “il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce. […] Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. (Is 9,1. 2). Il motivo di tanta gioia è il dono di Dio all’umanità: suo figlio, preannunciato dalla profezia di Isaia. E’ lui la luce che illumina le nostre tenebre. E’ lui che moltiplica la nostra gioia ed aumenta la nostra letizia. Egli è «Consigliere ammirabile», «Dio potente», «Padre per sempre», «Principe della pace». La pace che non avrà fine di cui parla Isaia non coincide, con una vita tranquilla da cui sia assente la drammaticità della vita. La pace nasce dal ristabilirsi della nostra relazione con Dio. Gesù non è appena un messaggero di pace, ma egli stesso, nella sua persona, è la nostra pace (Ef 2, 14). Nell’adesione a lui, nell’entrare, come Lui, nella volontà del Padre è il segreto della nostra letizia e della nostra pace: «E ‘n la sua volontade è nostra pace», scrive il sommo poeta Dante (Paradiso, III, 85). Anche per noi c’è un annuncio di pace nella nostra vita, nelle nostre famiglie, negli ambienti di lavoro, nelle nostre comunità, nella chiesa, nel mondo. Ognuno di noi può guardare le tenebre della sua vita e della società afflitta dalla mancanza di speranza, senza sgomento perché anche per noi brilla la luce di Gesù Cristo.

La percezione della fragilità, del peccato e dell’insicurezza che intacca la nostra voglia di vivere e che contagia le nostre famiglie e la nostra società, non ha più l’ultima parola su di noi. Splende una luce anche per noi che sfidiamo l’oscurità. Anche nella nostra epoca segnata dalla dittatura del relativismo, colpita dal Covid e macchiata da guerre fratricide, questo evento ecclesiale continua ad interrogare le persone sulla valenza teologica e sociale dell’Eucaristia. In Ucraina c’è una guerra che è militare, economica e una guerra per il pane che rischia di affamare intere nazioni povere per le quali non ricevere il grano significa non poter nutrirsi dello stesso pane, spezzarlo e condividerlo. Il pane è un alimento vitale, indispensabile, essenziale che è assieme dono della madre terra creata e sostenuta da Dio e del lavoro dell’uomo. L’universo “comincia con il pane”, diceva Pitagora. Esso è necessario per vivere e viene dall’azione dei quattro elementi del mondo: il frumento tratto dalla terra, impastato con l’acqua, lievitato accogliendo l’aria, cotto dal fuoco. In ogni cultura e in ogni religione il mangiare assieme si carica di significati che partono dalla realtà del nutrirsi, ma al tempo stesso la superano. Il gusto del pane nutre il corpo, cementa la comunione familiare e la fraternità, dona energia realizzare lo sviluppo dell’umanità. La fragranza del pane di ogni giorno è segno e memoria di quel Corpo che ogni giorno si spezza in briciole di amore e speranza per tutti. Il pane e il vino, che sono per la Bibbia il segno della Provvidenza di Dio, suscitano sentimenti di gioia e di gratitudine e preludono al rendimento di grazie che è l’Eucaristia. Il pane eucaristico frutto di tanti chicchi di grano coltivato e macinato dal lavoro umano, impastato con l’acqua, cotto con il fuoco dello Spirito, in unione col il vino composto da tanti acini d’uva raccolti e spremuti dall’uomo, fanno sì che l’Eucaristia diventi segno di unità fra cielo e la terra, di comunione fra persone e popoli diversi e abbracci e penetri tutto il creato.

Celebrando e adorando l’Eucaristia si fa presente a noi tutta la vita di Gesù, la sua divinità e la sua umanità, la sua relazione d’amore con il Padre e con lo Spirito Santo e la sua relazione con ogni persona umana e con tutto il creato. Nel sacramento dell’Eucaristia Gesù si rende presente in mezzo a noi sotto i segni del pane e del vino: due alimenti fondamentali per la nostra vita, offerti a Dio in ringraziamento e condivisi con l’umanità affamata ed assetata non solo di cibo ma anche di compagnia, di consolazione, di felicità, di amore. Gesù Cristo facendosi nostro cibo e bevanda, attraverso i segni del pane e del vino frutto della terra e del lavoro dell’uomo, ci fa partecipare al suo sacrificio, che porta pace e salvezza a tutto il mondo. Col suo invito a partecipare al banchetto eucaristico, Gesù ci riconcilia col Padre, ci fa creature nuove capaci di offrire la nostra vita come sacrificio gradito al Signore, di rendergli grazie per le meraviglie che opera nella storia e di allacciare nuovi rapporti di comunione, di condivisione, di servizio. Attorno a Gesù Cristo presente nel pane eucaristico ci si sente uniti attorno ad unico Pane, ad un’unica mensa per realizzare un unico Amore che porti a tutto il mondo il dono della Pace. Se San Giovanni Crisostomo affermava che Chiesa e Sinodo sono la stessa cosa, entrambi hanno nell’Eucaristia la sorgente della comunione, il principio della missione e il sostegno per il cammino comune.

Il tema del camminare insieme non è affatto estraneo all’evento della celebrazione eucaristica: si cammina per andare all’assemblea; si cammina dentro l’assemblea, si cammina al termine della celebrazione, per fare ritorno alla vita quotidiana, nella prospettiva della testimonianza della vita come missione. L’Eucaristia appare come esercizio di sinodalità: alla ricerca dell’accordo delle singole voci in un unico coro, in ascolto della Parola di Dio nello Spirito, nella esperienza di uno stile celebrativo armonico e condiviso. La celebrazione eucaristica, che plasma e alimenta il cammino sinodale, appare come una “palestra sinodale”, nella quale imparare l’arte della comunione ecclesiale. Le processioni eucaristiche ci fanno sentire parte di quella «carovana solidale» che compie il «santo pellegrinaggio» della fede di cui parla papa Francesco in Evangelii gaudium (n. 87). Il gusto del pane spezzato sulla tavola, condiviso e donato ai poveri, e il gusto del Pane eucaristico hanno un medesimo significato: nutrono la speranza che a nessuno manchi il necessario, che a nessuno manchi il gusto della vita aperto al desiderio d’eternità. Gesù Cristo presente in mezzo a noi, nel segno del pane e del vino, esige che anche nelle nostre Confraternite la forza dell’amore superi ogni lacerazione e che diventi comunione con i poveri, sostegno per i malati, accoglienza verso i profughi e gli immigrati che fuggono da guerre e povertà, attenzione fraterna a quanti fanno fatica a sostenere il peso della vita quotidiana e sono in pericolo di perdere la fede”.

mons. Michele Pennisi: