Ogni anno, gli atti di antisemitismo si intensificano notevolmente intorno al 27 gennaio, Giorno della Memoria. Qualcuno ha addirittura messo in discussione l’opportunità di celebrare tale Giorno, per evitare questi picchi di odio verso gli ebrei. Ma il ragionamento va rovesciato: è proprio perché continua ad essere tanto diffuso l’antisemitismo che bisogna continuare a celebrare il Giorno della memoria. Celebrarlo significa infatti affermare che l’antisemitismo è inaccettabile: poco o tanto, in qualunque giorno dell’anno, in qualunque forma si manifesti ecc.
Non è possibile fare l’abitudine all’odio verso gli ebrei. Accettare cioè che qualcuno, come dice Liliana Segre, venga odiato per il solo torto di essere nato. Così è avvenuto con la Shoah, quando sono stati perseguitati e sterminati uomini e donne, vecchi e bambini, senza eccezioni e senza pietà, non perché avessero fatto o detto qualcosa ma solo perché figli di madre ebrea.
Anche oggi, purtroppo, circola un odio contro gli ebrei sempre potenzialmente omicida e qualche volta anche concretamente omicida, come avviene con attentati a sinagoghe, a scuole ebraiche o ad altri luoghi. Da una parte, è l’odio dei neonazisti e dei neofascisti, tristi epigoni del fanatismo politico-ideologico del XX secolo. Dall’altra invece viene da nuovi protagonisti: i suprematisti bianchi, gli adepti di sette come Qanon che oggi sostengono Trump, islamisti radicali che nascondono l’antisemitismo dietro il sionismo, sostenitori della causa palestinese che negano a Israele e ai suoi abitanti il diritto di esistere…
Giorno della memoria vuol dire rivedere fotografie o filmati forse già visti altre volte, ascoltare voci di testimoni forse già ascoltare altre volte, rileggere libri forse già letti altre volte… Ma tutto questo non è inutile. C’è infatti una domanda che ancora non trova risposta: perché? Perché ieri la Shoah, perché oggi gli attentati, perché sempre l’odio verso gli ebrei? Proprio non avere una risposta rende questa domanda tanto importante. Spesso sono i giovani a porla quando sentono parlare per la prima volta della Shoah.
E’ anche un modo attraverso cui cercano di allontanare l’angoscia provocata dal ricordo di tanto orrore, di rovesciarla su quegli adulti che pretendono di trasmettere loro una memoria così scomoda. Ma questa domanda non va eliminata, né da parte dei giovani né da parte degli adulti. Chiedersi “perché?” significa infatti non solo interrogare la storia ma anche interrogare se stessi. Prendere coscienza degli abissi che si nascondevano in tanti “uomini comuni” divenuti inaspettatamente “volenterosi carnefici di Hitler”. Ma anche di quelli che si nascondono in ognuno di noi. Vuol dire insomma cercare attraverso la domanda sul “perché?” la forza necessaria perché l’orrore non si ripeta.