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Cosa c’è dietro la discussione su Genitore 1, Genitore 2

La reintroduzione della dicitura “genitore 1 – 2” nei documenti dei minori di 14 anni è molto di più di un semplice atto normativo dettato da motivi di privacy. Dietro questa decisione c’è una battaglia sul lessico iniziata da almeno un paio di decenni e che negli ultimi anni ha conosciuto un’accelerazione spaventosa.

Ma andiamo per ordine, a reintrodurre i termini madre e padre fu nel 2019 l’allora ministro dell’Interno Salvini, che così volle dare un segnale politico che scatenò le ire di alcuni aree culturali che non fanno mistero di professare il relativismo assoluto sul piano antropologico. Ma il braccio di ferro tra i sostenitori del diritto naturale e i promotori dei cosiddetti “nuovi diritti” è iniziato molto prima e proprio sul campo lessicale vede uno dei terreni di scontro più duri e decisivi.

Vista l’impossibilità di cambiare la biologia, i movimenti più estremisti del mondo lgbt (non tutti per la verità) e le avanguardie più avanzate del progressismo mondiale hanno iniziato relativizzare le parole inerenti al sesso, all’antropologia, alla filiazione, alla maternità e alla paternità relegandole alla percezione che ognuno ha di sé, con la possibilità ovviamente di rifiutare e cambiare la propria auto-definizione in qualsiasi momento (teorie gender americani indicano oltre 50 generi con cui identificarsi)

Tra i casi più grotteschi e allo stesso tempo preoccupanti ci sono gli attacchi subiti questa estate da personaggi del calibro dell’autrice di Harry Potter, J. K. Rowling, e del romanziere Stephen King, messi nella lista degli omofobi solo perché hanno osato dire che i trans non sono donne. C’è poi tutta la guerra dell’accesso ai servizi igienici negli Stati Uniti, dove alcune associazioni hanno chiesto e ottenuto l’abolizione della divisione per sessi di wc e spogliatoi perché ritenuta discriminatoria.

In nome di una malintesa forma di tolleranza verso le diversità e della lotta contro le discriminazioni (sacrosanta quando fatta seriamente), ci sono alcune fronde ideologiche che vorrebbero diluire, fino a renderle indistinte, qualsiasi identità antropologica comprese quelle delle due figure genitoriali. Qualcuno è convinto che cambiando il linguaggio cambia la realtà; quelli più in buona fede pensano di favorire l’inclusione mentre l’effetto è quello opposto, ovvero la persona destrutturata e senza radici è più insicura e vulnerabile e quindi più incline a forme di intolleranza.

Eppure nessuna forma ingegneria sociale applicata all’anagrafica potrà mai cancellare il fatto che ogni bimbo è figlio di un padre e di una madre, anche quelli orfani e, a maggior ragione, quelli comprati con l’utero in affitto e perfino quelli ottenuti tramite l’acquisto di seme di uno sconosciuto. Le parole non cambieranno mai la verità e ricordare la figura materna e paterna nell’assetto identitario e famigliare di una persona non comporta alcuna discriminazione, nemmeno nei confronti dei minori che hanno subito la ferita della perdita di un genitore.

Non reggono fino in fondo quindi la motivazioni addotte dall’attuale ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, che dice di aver recepito le osservazioni del garantite privacy il quale ritiene che le diciture madre e padre nelle carte di identità “comportano forti criticità nei casi in cui i soggetti che esercitano la responsabilità genitoriale non sono riconducibili alla figura paterna o materna”. Il ragionamento non regge perché non solo in Italia sono fuori legge tutte quelle pratiche che privano il bambino di una della due figure (utero in affitto, eterologa per coppie dello stesso sesso…) ma anche perché nel caso in cui uno dei due genitori dovesse risposarsi con una persona dello stesso sesso il bambino avrebbe comunque un padre e una madre ad esercitare la podestà genitoriale. Ovviamente il discorso nemmeno si pone per le madri e i padri divenuti tali con l’adozione.

Insomma la modifica lessicale che propone l’indefinito e l’intercambiabile mostra tutta la sua debolezza davanti a dei concetti difficili da confutare e la vittima molto spesso diventa il bambino, che non è più il soggetto portatore di diritti da difendere ma l’oggetto delle speculazioni ideologiche degli adulti. In fin dei conti la spersonalizzazione delle figure può anche essere fatta passare come una necessità burocratica ma i bambini continueranno a pronunciare, prima di tutte le altre che diranno nella loro vita, queste due parole: mamma e papà.

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