Se Pietro videochiama Gaza

Gaza
Foto di Emad El Byed su Unsplash
Il Papa videochiama i bambini di Gaza per benedirli. Quella costruita da Francesco, nei suoi viaggi, nei suoi incontri e nell’attività diplomatica della sua Chiesa, è una politica aperta, estranea a compromessi o ad alleanze di comodo, laica ma coinvolta, libera e rivolta ai poveri e a ogni situazione di bisogno e di sofferenza, estranea al giudizio e capace di sostenere e accompagnare con volto di madre. E tale modalità, lungi dal rappresentare una debolezza, si trasforma al contrario in motivo di forza e di autorevolezza, come si è reso evidente nel gesto umile e decisivo dell’indizione di un giorno di digiuno e preghiera per scongiurare la guerra prima in Siria poi a Gaza, o nella mediazione papale nei rapporti tra Usa e Cuba, risultata determinante per riconoscimento dei loro stessi capi di Stato. L’opera della Chiesa diventa efficace, ci ricorda Francesco in ogni parola e in ogni gesto, non quando essa difende le sue posizioni, ma quando è libera e povera, ancorandosi alla vera ricchezza, che le viene da Dio.
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Foto © Samantha Zucchi/Insidefoto/Image
“Il Papa mi telefona ogni giorno da un anno”. Padre Gabriel Romanelli, parroco nelle rovine di Gaza, racconta il suo quotidiano sotto le bombe in un’intervista a Le Parisien. E spiega che ogni sera, alle 8, il Pontefice si mette in contatto con lui per sapere se tutto va bene. Nel centro di Gaza City, duramente provata dai bombardamenti israeliani, la chiesa della Sacra Famiglia è stata finora miracolosamente risparmiata. Anzi, al riparo della sua navata, decine di famiglie hanno trovato rifugio e sopravvivono. A dirigere le loro giornate, e le funzioni nella parrocchia, padre Gabriel Romanelli, argentino come papa Francesco, da una ventina d’anni in Medio Oriente (Siria, Iraq, Giordania, Egitto) e da cinque parroco a Gaza. Calvo, robusto, sorridente, non tralascia niente, dalla messa mattutina ai Vespri, sempre in tonaca, era assente il 7 ottobre 2023 ed ha fatto di tutto per tornare a Gaza, ottenendo un lasciapassare lo scorso maggio: “era già dura vivere a Gaza prima della guerra, adesso è diventato complicatissimo. Sono stato nominato nel 2019, era un po’ una follia“, ammette. Ricordando che a Gaza la comunità cristiana è piccolissima, appena un migliaio di persone (135 cattolici e 880 ortodossi), su 2,1 milioni di abitanti. Oggi ne resta la metà, fra quelli che sono morti, chi è fuggito e quelli che sono profughi a sud“Da diversi mesi – racconta – organizziamo corsi per i ragazzi d’intesa con il ministero dell’Educazione a Ramallah. Il mio ruolo va oltre quello del punto di riferimento religioso, sono il difensore dei poveri, sono assistente sociale, lavoratore umanitario“. La politica “non entra nella mia chiesa”, assicura. E Papa Francesco? “Dall’inizio della guerra mi ha telefonato 365 volte: ogni sera, alle 20, mi chiama. Quando la linea è buona, ci colleghiamo in videochiamata”, un modo per condividere con le famiglie rifugiate in chiesa un momento speciale. Dallo schermo del cellulare di padre Romanelli, papa Francesco “benedice i bambini, domanda a tutti come va. E preghiamo insieme con lui, per la pace qui e in Israele, ovunque in Medio Oriente“.
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Foto di Josh Eckstein su Unsplash
Pace nei cuori, quindi. Incluso il rinnovamento ecclesiale Francesco conosce le difficoltà del rinnovamento conciliare. Per dirlo chiaramente: lo Spirito Santo ci dà fastidio perché ci muove, ci fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti, secondo il Pontefice. Invece vogliamo che lo Spirito Santo si assopisca, vogliamo addomesticare lo Spirito Santo. E questo non va. Perché Lui è Dio e Lui è quel vento che va e viene e tu non sai da dove. Infatti, raccomanda Francesco, è la forza di Dio, è quello che ci dà la consolazione e la forza per andare avanti. Bisogna andare avanti e questo dà fastidio perché la comodità è più bella. Oggi sembra che siamo tutti contenti per la presenza dello Spirito Santo, ma non è vero. Anzi questa tentazione ancora è di oggi. Per Francesco siamo come Pietro nella Trasfigurazione: “Ah, che bello stare cosi, tutti insieme!”, ma che non ci dia fastidio. Di più. Ci sono voci che vogliono andare indietro, ma questo si chiama essere testardi, questo si chiama voler addomesticare lo Spirito Santo, questo si chiama diventare stolti e lenti di cuore. Francesco ricorre a un esempio preciso: il Concilio Vaticano II che si vorrebbe celebrare ma non vivere nelle sue conseguenze. E prende spunto dal martirio di santo Stefano, il quale prima di essere lapidato annuncia la risurrezione di Cristo, ammonendo i presenti con parole forti: “Testardi! Voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo”. Stefano ricorda quanti hanno perseguitato i profeti e dopo averli uccisi hanno costruito per loro una bella tomba e solo dopo li hanno venerati. Il Concilio, a giudizio del papa che vuole una “Chiesa povera per i poveri“, fu un evento straordinario non soltanto per la Chiesa ma anche per il mondo. Poiché cambiò il volto delle gerarchie ecclesiastiche. Ed offrì speranza all’umanità, negli anni della Guerra Fredda e dei blocchi contrapposti.