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Non c’è futuro senza anziani

Sembra che gli anziani siano spesso l’unico sostegno economico stabile per le famiglie, ma chi sostiene loro? In questa domanda c’è tutto il dramma sociale degli ultimi decenni, amplificato dalla pandemia da Covid 19 e reso chiaro e cruento dall’impoverimento delle Comunità, culla delle famiglie ed espressione generativa per eccellenza.

Il tema è quello della “rottamazione dei vecchi”, perché sono loro con la loro longevità a rendere impossibile un futuro per i giovani. Del resto, la forma assunta dall’attuale società emargina sempre più i vecchi o al meglio li utilizza per sostenere le “economie familiari insufficienti”.

Sono sempre più, infatti, le situazioni in cui le persone anziane non possono più essere “gestite” dai familiari più giovani per svariate ragioni, e vengono “parcheggiate” in strutture di ricovero, particolarmente quando vivono condizioni di fragilità psico-fisica. In queste strutture le persone anziane si spengono progressivamente, soprattutto perché perdono i legami affettivi e relazionali, con le rispettive famiglie e comunità di appartenenza. Viene meno per loro quell’humus che è fonte di generatività e giustizia.

Per altro verso, le stesse persone anziane sono fonte di reddito per le giovani generazioni, in una realtà economica fortemente precarizzata, in cui costituiscono un’ancora sicura con i loro sussidi e pensioni.

Il problema delle pensioni è il più evidente: gli anziani hanno pensioni che sono il doppio o il triplo di quelle dei loro figli e nipoti, anche a parità di contributi, e non vogliono saperne di ridursele a vantaggio dei giovani.” All’interno della società civile questo si ripercuote in una sorta di faida tra i “boomer” (gli appartenenti all’epoca del boom delle nascite, accusati di avere, loro, rovinato l’economia) contro i “millennials” (accusati di essere frivoli, ignoranti, pigri, sempre attaccati ai social network).

C’è una profonda solitudine per gli anziani e per i giovani, ed è questa solitudine che alimenta scelte radicali e spesso inumane.

Senza dimenticare che è proprio grazie agli anziani che si trasmette la memoria, quella che non fa dimenticare le guerre, le dittature, la costituzione, la cultura, la bellezza.

Per dirla con la Comunità di Sant’Egidio, con la Comunità Papa Giovanni XXIII e con altre esperienze solidali, SENZA ANZIANI NON C’È FUTURO, è solo riumanizzando le Comunità e tutelando chi è più fragile che può prefigurarsi un futuro.

Non è solo un problema di natura sanitaria, ma la necessità di consentire alle persone anziane la permanenza nelle loro abitazioni, nelle loro famiglie, nelle loro Comunità.

Anche a costoro si riferisce Papa Francesco quando parla di “cultura dello scarto”: questa società toglie agli anziani il diritto ad essere considerati persone, ma solo un numero e in certi casi nemmeno quello. E se c’è da scegliere chi far morire e chi fare vivere – lo ha dimostrato la pandemia – la “scelta” cade sui più giovani e più sani.

In questo quadro sconsolante, scompaiono o restano sullo sfondo le stupende esperienze di collaborazione e coabitazione intergenerazionali, che viceversa potrebbero essere un grosso segno di speranza.

Il nome tecnico è cohousing, ma possiamo tradurlo con “addio alla solitudine”. E se è stato pensato per trovare una compagnia agli anziani, sono anche i giovani a trarne beneficio.

Gli anziani svolgono la propria vita come se fossero in una casa di riposo, ma al posto degli infermieri ci sono dei ragazzi che li accudiscono come nonni. Non solo. Se richiesto dai familiari, viene fornito loro un Gps per poter essere rintracciati, se fuori casa, in caso di perdita di senso dell’orientamento.

Il co-housing è infatti anche un progetto di sostenibilità: se da un lato la progettazione partecipata e la condivisione di spazi, attrezzature e risorse agevola la socializzazione tra gli individui, dall’altro questa pratica favorisce la costituzione di gruppi d’acquisto solidale, il car-sharing o la localizzazione di diversi servizi, che consentono un buon risparmio energetico e diminuiscono l’impatto ambientale.

In tutto questo, manca un progetto politico e non viene avanti un progetto sociale che spinga i decisori politici ad uno scatto d’orgoglio.

Non riesce ad andare avanti la legge per il sostegno ai caregiver e neppure viene data risposta al più recente Appello della società civile per un welfare dei territori e delle comunità, che ha proposto un “budget di salute” proprio per consentire a chi è più fragile un percorso di autonomia e di sostegno.

Viceversa, si è cominciato a parlare di pensione di garanzia per i giovani, garantendo una copertura previdenziale continua ai più giovani ed evitando che, tra carriere discontinue, salari bassi e periodi di disoccupazione, ci si possa trovare in futuro con assegni sotto la soglia di povertà.

Del resto, i dati parlano chiaro: il Censis ha stimato che fra trent’anni in 5,7 milioni rischiano di ritrovarsi con assegni sotto la soglia di povertà. Li hanno già ribattezzatti “generazione C”. Dove la “C” sta per coronavirus.

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