L’attenzione europeista emerge chiaramente dalla Costituzione italiana. Durante i lavori preparatori venne avvertita l’esigenza di inserire nella redigenda Costituzione un riferimento testuale “alle organizzazioni europee” e alla “unità dell’Europa”. Su tale posizione prevalse l’idea di Meuccio Ruini secondo cui un più ampio richiamo alle “organizzazioni internazionali” non esclude la formazione di più stretti rapporti nell’ambito europeo, non ne fa un limite ed apre tutte le vie ad organizzare la pace e la giustizia tra i popoli.
Del resto, la stessa collocazione dell’art.11 nella parte dedicata ai principi fondamentali segna un chiaro e preciso indirizzo di politica costituzionale. Il Costituente nel porla si ispirava a principi programmatici di valore generale, di cui l’Unione europea costituisce concreta attuazione. La scelta di richiamare le sole “organizzazioni internazionali” va letta in un’ottica inclusiva e funzionale a poter comprende tanto le organizzazioni mondiali che quelle europee.
Nel corso dei decenni la stipula di nuovi Trattati ha portato ad una crescente estensione delle competenze eurounitarie. Cosicché, a fronte dell’ampliamento dei settori interessati dalle competenze europee, occorreva prevedere una specifica disciplina dei rapporti tra il nostro ordinamento e quello comunitario. In occasione dell’ampia modifica del Titolo V è stato introdotto un apposito articolo in cui viene stabilito che le leggi dello Stato e delle Regioni sono tenute all’osservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
Tale disposizione rende finalmente esplicito un passaggio centrale: il potere sovrano di fare le leggi deve assecondare il rispetto dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. Vincoli che, al pari della Costituzione, si pongono come limite non superabile all’indirizzo politico di maggioranza e chiariscono l’effettiva incidenza dell’ordinamento eurounitario sul nostro sistema giuridico. Trova fondamento in tali “limitazioni di sovranità” la legge 108 del 2021 sul Piano Nazionale di ripresa e resilienza in cui si richiamano proprio le fonti di diritto comunitario e i vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea. Il PNRR è figlio del Next Generation UE, strumento giudico adottato dalle istituzioni europee per la ricostruzione del dopo pandemia. Tale “Dispositivo” accanto agli ingenti finanziamenti concessi all’Italia contiene rigorose condizioni, corredate da termini e traguardi. Il Piano ha introdotto anche una clausola di condizionalità macroeconomica che produce la sospensione o la restituzione dei pagamenti nel caso di uso improprio delle risorse. Si tratta di obbligazioni che oltrepassano il confine temporale della legislatura appena conclusa e dunque l’assetto futuro degli equilibri parlamentari.
Il programma di governo indicherà le “cose” da fare, trovando la sua legittimazione nella base elettorale. Ma l’attività del nuovo Esecutivo non potrà non fare i conti con l’impegno assunto dall’Italia in ambito europeo. In altri termini, la distinzione tra programma di governo e indirizzo politico condiviso a livello sovranazionale esige il rispetto del principio di sovranità nazionale nell’ordinamento dell’Unione europea. Gli obiettivi contenuti nel PNRR per il loro carattere vincolante dovranno trovare spazio nell’azione generale del governo che nascerà dalle elezioni del 25 settembre. Le riforme (transizione verde e digitale e inclusione territoriale e sociale) contenute nel PNRR rappresentano un “condensato” di indirizzo politico. Per la “messa a terra” dei progetti non sarà sufficiente la disponibilità di una politica lungimirante e meno rissosa, ma occorrerà realizzare una salda alleanza con una burocrazia specializzata e dotata competenze tecniche. Uno spazio di collegamento indispensabile per portare a termine l’agenda contenuta nel Piano entro il 2026.