“Noi cristiani sappiamo che il male non ha l’ultima parola. E su questo dobbiamo essere forti“, ha evidenziato sabato papa Francesco all’incontro con gli universitari di Lovanio. “Il male non ha l’ultima parola – ha affermato il Pontefice -. Il male ha, come si dice, ha i giorni contati. Questo non toglie il nostro impegno, anzi lo aumenta: la speranza è una nostra responsabilità. Perché la speranza mai delude”. E, ha aggiunto a braccio, “questa certezza vince quella coscienza pessimistica, lo stile della Turandot. La speranza mai delude”. Nel corso della sua missione sul soglio di Pietro il Papa richiama frequentemente la necessità di programmi pastorali, per esempio di preparazione matrimoniale (anche sotto la spinta dei due Sinodi dedicati alla famiglia). Basati sugli insegnamenti specifici di Giovanni Paolo II, che si stanno rivelando strumenti promettenti e anzi indispensabili per comunicare la verità liberatrice sul matrimonio cristiano e stanno ispirando ai giovani una nuova speranza per sé e per il loro futuro come mariti e mogli, padri e madri”. Sembra che papa Francesco non parli mai di programmi bensì di stile di evangelizzazione, di situazioni, di condizioni. Quelle del suo pontificato le ha indicate, piuttosto esplicitamente, nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium ispirata al Concilio. E quindi, nel suo pontificato, il Concilio e le sue esigenze sono un’eredità imprescindibile che già papa Ratzinger aveva evidenziato. Un nesso rilevante. Nell’udienza di saluto al clero di Roma, a braccio, Benedetto XVI diede una lezione inedita sul Concilio Vaticano II. Quella scelta, a giudizio del missionario scalabriniano don Gaetano Saracino, non fu casuale.
Benedetto XVI voleva lasciare al suo presbiterio un’eredità da cui ripartire. E nel passaggio di consegne Francesco ha ricevuto dal predecessore l’invito a proseguire l’attuazione dei temi conciliari. Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, Jorge Mario Bergoglio conferma questo mandato e lo sviluppa nei temi della riforma della Chiesa in chiave missionaria, nell’inclusione sociale dei poveri, nei temi della pace e del dialogo sociale. E papa Francesco, lontano dal comporre un trattato, in quel documento evidenzia una sorta di impatto pratico che hanno questi argomenti di matrice conciliare, nel compito attuale della Chiesa. Spiega don Saracino: “Francesco non è uno stratega e, forse, un programma vero e proprio, come normalmente si intende quando uno assume una forma di governo, non ce l’ha. L’origine di questo stile risiede in quello che i gesuiti chiamano il pensiero incompleto.
Anche per Francesco, occorre richiamarsi fortemente alla sua spiritualità e capire che questa non è furbizia, né confusione, incertezza o inadeguatezza, ma peculiarità del gesuita che vive sempre una sorta di tensione. Al centro c’è Cristo e la sua Chiesa, che sono i punti fermi che permettono al religioso di vivere decentrato, in periferia. Qui il pensiero incompleto diventa anche pensiero aperto, creativo e generoso. Insomma, essendo Cristo al centro di tutto, l’azione non può che essere per la maggior sua gloria. Questa spiritualità permette una vicinanza profonda a tutta la Chiesa intesa come popolo di Dio e, allo stesso tempo, richiede umiltà e coraggio perché non è così immediata da essere
capita. È l’atteggiamento che ha permesso ai gesuiti di avvicinare i riti cinesi, quelli malabarici, e capire in Paraguay gli indios che cercavano la “tierra sin mal”, anche subendo calunnie e incomprensioni. È un riferimento con il quale papa Francesco intende camminare con la Chiesa in questo tempo, confidando che la fecondità delle esigenze dinamiche ereditate dal Concilio sia tutta nelle mani di Dio.
Se la religione diventa “uno strumento di dominio” è “una bestemmia”. E agli studenti ha ricordato: “Tra le questioni che voi affrontate, mi ha colpito quella sul futuro e l’angoscia. Vediamo bene quanto è violento e arrogante il male che distrugge l’ambiente e i popoli. Sembra non conoscere freno. La guerra è la sua espressione più brutale; come lo sono anche la corruzione e le moderne forme di schiavitù”. A volte. ha evidenziato il Papa, “questi mali inquinano la stessa religione che diventa uno strumento di dominio. L’unione degli uomini con Dio, che è Amore salvifico, diventa schiavitù. Persino il nome del padre, che è rivelazione di cura, diventa espressione di prepotenza. Dio è Padre, non padrone; è Figlio e Fratello, non dittatore; è Spirito d’amore, non di dominio“.
“Noi siamo nel mondo per custodire la sua bellezza e coltivarla per il bene di tutti, soprattutto dei posteri, il prossimo nel futuro. Ecco il ‘programma ecologico‘ della Chiesa. Ma nessun piano di sviluppo potrà riuscire se restano arroganza, violenza, rivalità nelle nostre coscienze, anche nella nostra società”, ha sottolineato il Papa all‘incontro con gli universitari di Lovanio. “Occorre andare alla fonte della questione, che è il cuore dell’uomo. Da lì viene anche la drammatica urgenza del tema ecologico: dall’arrogante indifferenza dei potenti, che mette sempre davanti l’interesse economico, i soldi”. Jorge Mario Bergoglio ha riferito “una cosa che mia nonna mi diceva sempre ‘Stai attento nella vita perché il diavolo entra dalle tasche'”. Quindi “finché sarà così, ogni appello sarà messo a tacere o verrà accolto solo nella misura in cui è conveniente al mercato. Finché il mercato resta al primo posto, la nostra casa comune subirà ingiustizie. La bellezza del dono chiede la nostra responsabilità: siamo ospiti, non despoti”.