La missione di Francesco a Cipro e in Grecia ha due chiavi di lettura. Una ecumenica e interconfessionale. L’altra sociale e geopolitica. Ieri i cristiani africani di Lesbo hanno scritto una lettera al Papa che è entrata a fare parte del libro dei messaggi che gli sono stati consegnati. ”Abbiamo lasciato i nostri paesi di origine– raccontano-. Abbiamo abbandonato i nostri genitori, mogli e figli. Per sfuggire ai vari problemi legati alla nostra sicurezza. Come torture. Matrimoni forzati. Pene detentive dovute a divergenze di opinioni politiche. Religiose. Sessuali. Rischio di morte e molti altri. ‘Il nostro viaggio in Grecia è stato un calvario doloroso“.
“Noi ci lamentiamo quando leggiamo le storie dei lager del secolo scorso, dei nazisti, di Stalin- ha detto a braccio Francesco durante la preghiera ecumenica con i migranti a Nicosia- ‘Come mai è potuto succedere?’ Ma sta succedendo anche oggi. Nelle spiagge vicine, ponte di schiavitù”. Quella di Francesco è una Chiesa che si preoccupa più degli altri che di se stessa. In dialogo prima di tutto con i fratelli separati. Più che una novità è la continuazione, con la stessa tenacia, di tutto il movimento ecumenico che il Concilio Vaticano II ha benedetto e rafforzato con i suoi documenti. Ne è una conferma il cambio di atteggiamento e di linguaggio verso gli ebrei, verso le Chiese non cattoliche e anche verso i musulmani e i fedeli di altre religioni. Riconoscendo “semi del Verbo“, cioè elementi di verità e di bontà, anche nella loro fede.La teologia elaborata nelle accademie deve essere radicata e fondata sulla Rivelazione, sulla Tradizione. Ma è tenuta anche ad accompagnare i processi culturali e sociali. In particolare le transizioni difficili. Oggi, infatti, la teologia deve farsi carico anche dei conflitti. Non solamente quelli che si sperimentano dentro la Chiesa. Ma anche quelli che riguardano il mondo intero. E che si vivono lungo le strade del terzo millennio globalizzato. Francesco esorta a non accontentarsi di una teologia da tavolino. Il luogo di riflessione dei teologi siano le frontiere. Un monito paterno e sollecito a non cadere nella tentazione di verniciarle. di profumarle. Di aggiustarle un po’. E di addomesticarle. Infatti anche i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada. E con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite degli uomini.
Secondo Francesco è un’illusione pensare che basti salvaguardare se stessi. Difendendosi dai più deboli che bussano alla porta. Il futuro “ci metterà ancora più a contatto gli uni con gli altri“. Per volgerlo al bene non servono azioni unilaterali. Bensì politiche di ampio respiro. La storia “lo insegna”. Ma “non lo abbiamo ancora imparato“. Di qui l’appello papale. “Non si voltino le spalle alla realtà. Finisca il continuo rimbalzo di responsabilità. Non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria. Come se a nessuno importasse. E fosse solo un inutile peso“.