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Il Magistero sfata i “falsi miti dell’efficienza e del consumismo”. Da Wojtyla a Francesco

Francesco

“Tanti giovani si lasciano sedurre dai falsi miti dell’efficienza e del consumismo”, osserva Francesco. Ad affascinare le nuove generazioni è “l’illusione dell’edonismo. Ma il cuore dei giovani cerca altro. E’ fatto per orizzonti ben più ampi”, ha sottolineato il Papa ricevendo in udienza i pellegrini coreani. E ai sacerdoti e vescovi ha raccomandato: “Abbiate cura di loro. Cercateli. Avvicinateli. Ascoltateli. Annunciate loro la bellezza del Vangelo. Affinché,
interiormente liberi, diventino testimoni gioiosi di verità e di fraternità“. Il pellegrinaggio in Vaticano è avvenuto nel giorno in cui si commemora il martirio di Sant’Andrea Kim Taegon, avvenuto 177 anni fa. E in occasione della benedizione della sua statua, installata in una delle nicchie esterne della Basilica di San Pietro. Nove anni fa il Pontefice ha visitato la Corea del Sud per incontrare i giovani partecipanti alla Giornata della Gioventù Asiatica. In quell’occasione Francesco si recò al Santuario di Solmoe, presso la casa dove Sant’Andrea Kim nacque e trascorse l’infanzia. Lì il Papa pregò in particolare per i giovani. Sant’Andrea Kim è stato definito da Francesco un “seme prezioso”. Primo sacerdote martire coreano. Ucciso in giovane età poco tempo dopo aver ricevuto l’ordinazione. “La sua figura ci invita a scoprire la vocazione affidata alla Chiesa coreana, a tutti voi- ha detto sabato il Papa ai pellegrini-. Siete chiamati a una fede giovane, a una fede ardente che, animata dall’amore di Dio e del prossimo, si fa dono. Con la profezia del martirio, la Chiesa coreana ricorda che non si può seguire Gesù senza abbracciare la sua croce. E che non ci si può proclamare cristiani senza essere disposti a seguire fino in fondo la via dell’amore”. Sant’ Andrea Kim aveva un “grande ardore per la diffusione del Vangelo“. Si dedicò all’annuncio di Gesù”con nobiltà d’animo. Senza tirarsi indietro davanti ai pericoli. E nonostante molte sofferenze. Anche suo nonno e suo padre furono martirizzati. Sua madre fu costretta a vivere come una mendicante”. Un modello universale per “coltivare nel cuore lo zelo apostolico“. Ed essere “segno di una Chiesa che esce da sé stessa per spargere con gioia il seme del Vangelo. Anche attraverso una vita spesa per gli altri, in pace e con amore“.La Chiesa coreana “sorge dal laicato”. Ed è “fecondata dal sangue dei martiri”. Si rigenera
“attingendo alle sue radici lo slancio evangelico generoso dei testimoni. E la valorizzazione del ruolo e dei carismi dei laici“, evidenzia Jorge Mario Bergoglio. Già Giovanni Paolo II a Seoul aveva levato una fervida preghiera affinché la pace di Cristo discenda su tutte le nazioni e i popoli. Con il pensiero rivolto alla comunità cattolica della Corea del Nord. “Preghiamo per quei genitori e per quei figli, per quei fratelli e per quelle sorelle, per quegli amici e per quei parenti che sono separati. Ma che attendono con una speranza che non viene mai meno di essere riuniti in una sola famiglia– disse Karol Wojtyla-. Che Gesù, attraverso l’intercessione della sua beata Madre, la regina della pace, affretti il giorno in cui tutti i coreani saranno riconciliati nella fiducia e nel rispetto reciproci. E riuniti nella gioia dell’amore fraterno”. Karol Wojtyla aveva un rapporto con l’Invisibile che era incredibile. Bastava vederlo pregare nella sua cappella privata. O anche in qualsiasi posto si trovasse durante i viaggi. Pregava su un elicottero, in uno sgabuzzino. Faceva la Via Crucis nel corridoio di una nunziatura. Ma nella sua vita spirituale non c’era niente di convenzionale, di abitudinario. Dunque, un uomo profondamente mistico, ma non per questo estraneo ai problemi degli uomini, del mondo. E cioè, aveva saputo realizzare in se stesso una perfetta sintesi tra vita contemplativa e vita attiva. Era un uomo libero, interiormente libero. E appunto da qui veniva il suo distacco dalle “cose”, dagli agi, dalle comodità.

Foto © Vatican Media

Da qui, soprattutto, veniva il suo modo di vivere, che richiamava così da vicino la povertà francescana. Povertà nel vestire (il vecchio soprabito, regalava di tutto, maglioni, scarpe, a chi ne aveva bisogno). Nel mangiare (non chiedeva mai qualcosa di speciale). Nell’abitare in due sole stanze molto spartane (aveva mantenuto gli stessi mobili di Paolo VI). Nel rapporto con il danaro (si pagava le telefonate ai suoi amici in Polonia). Già da cardinale, i diritti dei suoi libri servivano ad aiutare professori in difficoltà con il regime. Poi, da Papa, i diritti del libro-intervista di Vittorio Messori furono destinati a una fondazione per bambini in Africa. Uomo semplice, umile. Si scusava, se riteneva di aver sbagliato. Chiedeva il parere degli altri: “Che te ne pare?”. Ascoltava, specialmente a tavola, quando invitava persone che gli raccontavano come andassero le cose nel mondo. Una missione scritta nel suo DNA. “Vescovo a soli trentotto anni, cardinale a quarantasette e Papa a cinquantotto. Non si può dire che le doti di Karol Wojtyla non siano state riconosciute dai suoi superiori”, ha osservato il regista polacco Krzysztof Zanussi, autore del film-biografia Da un paese lontano. In realtà la nomina vescovile del giovane e brillante sacerdote di Wadowice, “specializzato” nell’educazione dei giovani universitari e specialmente delle giovani coppie, arrivò inaspettata anche per lui. Nonostante il nuovo incarico, il futuro Papa continuò le sue attività. E due anni dopo, nel 1960, pubblicò il dramma La bottega dell’orefice e il saggio “Amore e responsabilità“.

L’uscita di quest’ultimo provocò un certo scalpore. Per la prima volta un vescovo della Chiesa cattolica si cimentava a scrivere e ad analizzare argomenti quali l’eccitazione sessuale o l’insoddisfazione della donna che fingeva l’orgasmo. Karol Wojtyla ha studiato le opinioni dei sessuologi. Ma soprattutto confessa molti giovani e ascolta i loro problemi. Parla così apertamente dell’importanza della sessualità nella vita di coppia, scendendo nei particolari. “Bisogna tener conto», scrive il fut.ro Papa in Amore e responsabilità, “del fatto che, in questi rapporti, la donna prova una naturale difficoltà ad adattarsi all’uomo. Ciò è dovuto alla divergenza del loro ritmo fisico e psichico. È quindi necessaria un’ armonizzazione, che non può aver luogo senza uno sforzo di volontà, soprattutto da parte dell’uomo, senza un’attenta osservazione della donna”.

Giacomo Galeazzi: