In piena “guerra mondiale a pezzi” Francesco testimonia “l’ansia di portare al mondo la luce di Cristo”. Proprio come 60 anni fa papa Roncalli nella crisi missilistica a Cuba tra Washington e Mosca. L’accostamento di papa Giovanni e Jorge Mario Bergoglio è stato naturale e spontaneo sin dai primi giorni dell’attuale pontificato. Anche se ogni papa ha una sua personalità e un suo stile irripetibile. L’analogia viene dal modo di presentarsi e di comunicare, molto semplice e spontaneo. Dall’attenzione all’aspetto pastorale di una Chiesa che viene incontro alla gente. Francesco ha ricreato molto dell’atmosfera di entusiasmo che si creò all’inizio del Concilio Vaticano II. Per una Chiesa che si metteva in movimento, che abbandonava atteggiamenti ingessati nei secoli. La realizzazione di quanto auspicava il cardinale Carlo Maria Martini circa un nuovo spirito del Concilio. Frase che taluni osservatori interpretarono come un invito ad indire un nuovo Concilio. Ma il cardinale Martini specificò almeno due volte che non auspicava nuovi Concili. Anche perché, aggiungeva, non è stato ancora digerito il Vaticano II. Sperava bensì che si creasse nuovamente l’entusiasmo e la fiducia in una Chiesa che sa rinnovarsi come era avvenuto al Concilio. Un clima positivo che si era andato smorzando durante il post Concilio. Una visione non pessimista circa la Chiesa in Europa, anche se meno creativa e vivace di quelle dei continenti nuovi. Influisce l’idea perenne che l’erba nel giardino del vicino è sempre più alta e più verde. Ma anche la Chiesa europea presenta aspetti affascinanti. Non a caso molti sacerdoti di altri continenti vengono in Europa per studi e non vogliono più ripartirne. E non si tratta soltanto del migliore trattamento economico. È però vero che Chiese latinoamericane e africane hanno un dinamismo che nel vecchio continente sembra essere andato perduto. L’Europa ha solide strutture, create pazientemente nei secoli, che i cattolici temono di perdere, mentre hanno perso molto dello slancio missionario. Le Chiese nuove, infatti, hanno poco da perdere, spesso conoscono direttamente la persecuzione e il martirio (come all’inizio del cristianesimo) e sono molto più creative. Sono continenti in costruzione.In Europa le Chiese sono spesso sulla difensiva. E orientate sulla preservazione dell’esistente. Sembrano meno fiduciose sull’opera di Dio nella storia. E certamente Francesco è simbolo di questa vitalità. E dello spirito latinoamericano che più che della esatta formulazione dogmatica, tanto cara agli europei, si preoccupa della traduzione in azione. A testimonianza del messaggio evangelico. Ecumenismo come metodo, inoltre. Il programma di ogni papa è dato dal Vangelo e dalla sua interpretazione così come si è configurata nella tradizione, non da un Concilio o da un altro. Vivendo in un determinato momento storico il papa è però certamente chiamato a realizzare un evento così importante e significativo come è stato il Concilio Vaticano II. Opera di tutto l’episcopato mondiale che ne ha approvato i documenti quasi all’unanimità. E che tutti i pontefici hanno preso come punto di riferimento. Per papa Francesco, che non ha partecipato al Concilio, esso è un dato di fatto che egli dà per acquisito. Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si sono posti tutti nella linea del Vaticano II. Cercando di attuarne le novità. La canonizzazione di Giovanni XXIII che aprì il Concilio. E di Giovanni Paolo II che l’ha vissuto intensamente. Poi la canonizzazione di Paolo VI che ha chiuso degnamente il Vaticano II e più ha sofferto per farlo realmente recepire. Infine la beatificazione del padre conciliare Albino Luciani. Dunque di fatto Francesco ha canonizzato il Concilio nelle figure dei suoi protagonisti e attuatori. Per Benedetto XVI non si parla ancora di beatificazione ma la sua fedeltà al Concilio è indubbia. E le sue riserve su alcune conseguenze non desiderate del Concilio, come in fatto di liturgia, non modificano una linea di sostanziale fedeltà allo spirito del Concilio. Con buona pace di coloro che speravano che con papa Ratzinger la Chiesa facesse, almeno parzialmente, marcia indietro. Ma non si può dire che un papa è più conciliare dell’altro. Ciascuno, in questi sessant’anni, ha portato un suo stile e una sua sensibilità, ma sempre nella scia conciliare.Giovanni Paolo II è stato un grande missionario e un evangelizzatore a livello mondiale. Simbolo (anche fisicamente, sinché ha avuto buona salute) di una Chiesa che, nello smarrimento del mondo moderno, ha certezze da dare. E splende come un faro nella notte. Trasformandosi in fiaccola che va a portare luce nei suoi viaggi e nei suoi infiniti contatti. Alla sua grande apertura sui problemi sociali, infatti, ha fatto riscontro una certa rigidità sui problemi familiari e morali, sia per la sua formazione. Sia per il timore, forse, che aprendo delle brecce in questi campi, franasse poi tutto un edificio morale costruito nei secoli. La personalità dei papi, come di tutti, è complessa e non è mai di un colore solo. Benedetto XVI ha portato alla Chiesa e al mondo la sua profonda preparazione teologica e di pensatore. Cercando di riportare all’essenziale il messaggio evangelico, che talvolta sembra dissolversi nella cultura moderna. Ma la sua immagine è stata spesso travisata. Ci sono state condanne, a destra e a sinistra, durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Ma non con Benedetto XVI, assai più attento al pluralismo del pensiero teologico di oggi. E al dibattito teologico che ha bisogno di libertà. Nella pastoralità dell’azione di Francesco. E nello sforzo del dialogo con il mondo moderno e anche con i lontani, che alle volte sembrano apprezzarlo più di alcuni più vicini o vicinissimi. Che manifestano le stesse paure degli avversari di Gesù che frequentava pubblicani e stranieri e accettava gesti di venerazione da prostitute. Quella di Francesco è una Chiesa che si preoccupa più degli altri che di se stessa. In dialogo prima di tutto con i fratelli separati. Più che una novità è la continuazione, con la stessa tenacia, di tutto il movimento ecumenico che il Concilio Vaticano II ha benedetto e rafforzato con i suoi documenti. Ne è una conferma il cambio di atteggiamento e di linguaggio verso gli ebrei, verso le Chiese non cattoliche e anche verso i musulmani e i fedeli di altre religioni. Riconoscendo “semi del Verbo“, cioè elementi di verità e di bontà, anche nella loro fede.