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Laici e laicità secondo Francesco

Giovanni

Foto di Eduardo Garcia-Nieto su Unsplash

“Uno Stato deve essere laico- avverte Francesco-. Gli stati confessionali finiscono male, ma ciascuno deve avere la libertà di esteriorizzare la propria fede. Se una donna musulmana vuole indossare il velo, deve poterlo fare. Allo stesso modo, se un cattolico vuole indossare una croce“. I fedeli laici, aggiunge il Papa, non sono “ospiti” nella Chiesa, sono a casa loro. Perciò sono chiamati a prendersi cura della propria casa. Inoltre i laici, e soprattutto le donne, vanno maggiormente valorizzati nelle loro competenze e nei loro doni umani e spirituali per la vita delle parrocchie e delle diocesi. Tutto il magistero di Francesco è fatto di profezia e non di soluzioni tecniche. Come se dicesse: io ti faccio vedere ciò che tu non sei più in grado di vedere a causa delle cataratte storiche o ideologiche che ti riducono la vista: gli uomini-scarto, l’umanità e la fratellanza dei migranti, la catastrofe ecologica che minaccia la vita soprattutto dei popoli più poveri, ecco io ti tolgo le cataratte che ti impediscono di vedere, ma la soluzione tecnica a questi drammatici problemi la devi trovare tu, è responsabilità politica tua, io non voglio invadere il terreno della tua autonomia e della tua competenza di laico e soprattutto di laico impegnato in politica. In questo senso, Francesco riconosce che ai laici è affidata la responsabilità di contemporaneizzare il messaggio cristiano e, quindi, il dovere di coltivare una particolare intelligenza della storia e della modernità, utilizzando tutti gli strumenti che la ricerca tecnologica consente, restando padroni di sé, della propria vita e della propria libertà.

Foto: Stefano Carofei

Francesco si chiede: quale sarà il prossimo scarto? Ed esorta tutti a fermarsi in tempo, a non rassegnarsi, a non considerare questo stato di cose come irreversibile. Occorre cercare di costruire una società e un’economia dove l’uomo e il suo bene, e non il denaro, siano al centro. Perciò, secondo il papa che vuole una Chiesa povera per i poveri, c’è bisogno di etica nell’economia e c’è bisogno di etica anche nella politica. Del resto, più volte vari capi di Stato e leader politici che il Pontefice ha potuto incontrare dopo la sua elezione a vescovo di Roma gli hanno parlato di questo. Hanno detto: i leader religiosi devono aiutare, dare indicazioni etiche. Il ragionamento di Francesco è da leader morale del pianeta. Il pastore può fare i suoi richiami ma, come ricordava Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate, servono uomini e donne con le braccia alzate verso Dio per pregarlo, consapevoli che l’ amore e la condivisione da cui deriva l’autentico sviluppo, non sono un prodotto delle nostre mani, ma un dono da chiedere. E al tempo stesso Jorge Mario Bergoglio si dice convinto che ci sia bisogno che questi uomini e queste donne si impegnino, ad ogni livello, nella società, nella politica, nelle istituzioni e nell’economia, mettendo al centro il bene comune.

Foto: Sara Minelli

Dunque non si può più aspettare a risolvere le cause strutturali della povertà, per guarire le società da una malattia che può solo portare verso nuove crisi. Cioè i mercati e la speculazione finanziaria non possono godere di un’autonomia assoluta. Senza una soluzione ai problemi dei poveri non risolveremo i problemi del mondo. In questa ottica il pontefice invoca programmi, meccanismi e processi orientati a una migliore distribuzione delle risorse, alla creazione di lavoro, alla promozione integrale di chi è escluso. Intanto, però, le parole forti e profetiche di Pio XI nell’enciclica Quadragesimo Anno contro l’imperialismo internazionale del denaro, oggi suonano per molti, anche cattolici, eccessive e radicali? “Pio XI sembra esagerato a coloro che si sentono colpiti dalle sue parole, punti sul vivo dalle sue profetiche denunce- sostiene Francesco-. Ma il papa non era esagerato, aveva detto la verità dopo la crisi economico-finanziaria del 1929, e da buon alpinista vedeva le cose come stavano, sapeva guardare lontano. Temo che gli esagerati siano piuttosto coloro che ancora oggi si sentono chiamati in causa dai richiami di Pio XI“. Restano ancora valide le pagine della Populorum Progressio nelle quali si dice che la proprietà privata non è un diritto assoluto ma è subordinata al bene comune, e quelle del Catechismo di san Pio X che elenca tra i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio l’opprimere i poveri e il defraudare della giusta mercede gli operai.

Foto di Martijn Vonk su Unsplash

“Non solo sono affermazioni ancora valide, ma più il tempo passa e più trovo che siano comprovate dall’esperienza– sostiene Jorge Mario Bergoglio-. I poveri sono carne di Cristo. Prima che arrivasse Francesco d’Assisi c’erano i ‘pauperisti’, nel Medio Evo ci sono state molte correnti pauperistiche. Il pauperismo è una caricatura del Vangelo e della stessa povertà. Invece san Francesco ci ha aiutato a scoprire il legame profondo tra la povertà e il cammino evangelico. Gesù afferma che non si possono servire due padroni, Dio e la ricchezza. È pauperismo? Gesù ci dice qual è il ‘protocollo’ sulla base del quale noi saremo giudicati, è quello che leggiamo nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: ho avuto fame, ho avuto sete, sono stato in carcere, ero malato, ero nudo e mi avete aiutato, vestito, visitato, vi siete presi cura di me. Ogni volta che facciamo questo a un nostro fratello, lo facciamo a Gesù. Avere cura del nostro prossimo: di chi è povero, di chi soffre nel corpo, nello spirito, di chi è nel bisogno. Questa è la pietra di paragone. È pauperismo? No, è Vangelo”. Infatti, prosegue Jorge MarioBergoglio, “la povertà allontana dall’idolatria, dal sentirci autosufficienti. Zaccheo, dopo aver incrociato lo sguardo misericordioso di Gesù, ha donato la metà dei suoi averi ai poveri”. Quello del Vangelo è “un messaggio rivolto a tutti, il Vangelo non condanna i ricchi ma l’idolatria della ricchezza, quell’idolatria che rende insensibili al grido del povero. Gesù ha detto che prima di offrire il nostro dono davanti all’altare dobbiamo riconciliarci con il nostro fratello per essere in pace con lui. Credo che possiamo, per analogia, estendere questa richiesta anche all’essere in pace con questi fratelli poveri”.

Giacomo Galeazzi: