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Cristo non può essere diviso. L’abbraccio tra fratelli separati

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Papa Francesco sa che anche in Ucraina l’ecumenismo può essere un antidoto al veleno della guerra. E allo “spirito di Caino”. Uno dei gesti ecumenici più efficaci, Francesco lo ha compiuto a Gerusalemme. Sul Santo Sepolcro. Abbracciando Bartolomeo, il patriarca di Costantinopoli. Esattamente come aveva fatto cinquant’anni prima Paolo VI con Atenagora. Nel corso del pellegrinaggio in Terra Santa. Il suo non è stato un semplice gesto commemorativo. Ma un vero e proprio “tentativo di risveglio”, sintetizza il missionario scalabriniano padre Gaetano Saracino. L’abbraccio di allora portò fulmineamente alla cancellazione delle reciproche scomuniche. Che duravano dal 1054. Anno dello Scisma tra Oriente e Occidente. Inseguiva il soffio di quel vento nuovo. Appena dopo la fine del Concilio ecumenico Vaticano II. E sembrava addirittura che si potesse arrivare alla condivisione del calice. Ma il pensiero dei teologi era volto a sottolineare più la necessità di arrivare ad un’intesa dottrinale. E ciò ha finito per rallentare, se non fermare, il cammino ecumenico. E ha fatto sì che i piccoli passi non venissero nemmeno avvertiti dal popolo di Dio.Papa Francesco ha voluto riprendere questo stallo. E smuoverlo alla luce di gesti concreti. La possibile visita al patriarca in Russia. Il calendario liturgico comune. Soprattutto la data della Pasqua. Altro segno di unità è stata la visita alla comunità pentecostale di Caserta. Dov’è andato oltre l’ecumenismo dei rapporti personali. Marcando quello delle origini. Basato sullo scambio e sulla cooperazione fraterna. Senza dimenticare le aperture rese possibili dalla svolta ecumenica del Concilio Vaticano II. Anche quell’incontro è stato l’occasione per confermare un dato fondamentale. Ossia come in questi anni si stia facendo avanti l’idea dell’ecumenismo di fatto. Insomma “il Vangelo è lo stesso”, osserva padre Saracino. E Bergoglio punta a questo. Al compagno di strada. Al fratello nella stessa fede. Ognuno deve affidare vicendevolmente il cuore. Senza sospetti e senza diffidenze. Sbaragliando ossessioni e stratificazioni della storia. Non sempre limpide. Con un approccio più biblico. Meno ecclesiastico e più pastorale. Rispetto alla teologia e alle rigidità del diritto. Nel celebrare la settimana ecumenica, Francesco ha chiarito che Cristo non può essere diviso. Perché Cristo nessuno lo possiede. Nemmeno le Chiese. E perché Cristo lo si dà. Quindi ciò che conta non sono le discussioni. Ma la testimonianza.Ne è una dimostrazione la grande venerazione del mondo ortodosso verso Giovanni XXIII. Espressa già all’indomani della sua morte. Tanto da considerarlo un santo e un patrono dell’ecumenismo. Ciò testimonia l’effetto che hanno avuto l’ispirazione ed il coraggio della spinta ecumenica. Ha inciso la lunga esperienza come rappresentante della Santa Sede in Paesi come la Grecia. La Bulgaria. E la Turchia. Dove è la sede del patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Al cardinale Angelo Roncalli fu così offerta l’opportunità di conoscere da vicino e amare i popoli ortodossi. E di associarsi con legami particolari al patriarcato ecumenico. Il ricordo del suo soggiorno ad Istanbul è ancora vivo. La sua familiarità con gli ortodossi in quel contesto lasciò un’impronta indelebile della sua personalità. E contribuì non poco a suscitare lo spirito di apertura nei confronti dell’ortodossia che lo animava. Giovanni XXIII realizzò il passo decisivo nel cammino della Chiesa. Grazie alla sua importante e coraggiosa decisione di convocare il Concilio. Che tra l’altro, con le sue indicazioni, ha aperto la strada per la partecipazione della Chiesa cattolica al movimento ecumenico. In vista del ripristino dell’unità dei cristiani. Tale evento si unisce alle virtù di dolcezza, bontà e amore. Proprie del suo carattere e del suo stile di vita. Giustificando pienamente l’onore della canonizzazione riservato a lui dalla Chiesa cattolica. Per Giovanni XXIII lo stesso sguardo rivolto al Vangelo rendeva possibile una speranza. Quella, secondo la definizione del missionario Saracino, di “veder riaffiorare all’orizzonte la piena unità ecclesiale e sacramentale tra ortodossi e cattolici”. Per oltre mille anni, infatti, la comprensione comune del Vangelo in Oriente e Occidente si esprimeva anche nella piena comunione sacramentale. La questione sociale è terreno di dialogo. A tre giorni dalla sua elezione, papa Francesco, dinanzi ai rappresentanti dei media riuniti in udienza, pronunciò la frase rimasta famosa. “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!“. Ai più suonò ad effetto. E non fece fatica ad affermarsi nelle divulgazioni mediatiche riguardanti il profilo di papa Francesco. Jorge Mario Bergoglio si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà. Da portavoce dell’intera cristianità. Proprio come Giovanni XXIII.

Giacomo Galeazzi: