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La fragilità e la caducità della vita umana: sfide che ci possono avvicinare a Dio

La fragilità e la caducità della vita umana sono paradossalmente ancora più toccanti e dolorose e complessivamente spaventose in questa nostra epoca così preoccupata per la salute e la sicurezza umana. Come se non bastassero gli incidenti stradali, che uccidono 1,35 milioni di persone all’anno in tutto il mondo, o gli ictus o gli infarti, abbiamo avuto (e abbiamo ancora) la pandemia – e ora una guerra regolare in Europa, con bombe e missili che cadono su città e ospedali. Come se l’umanità non potesse – o non meritasse – di vivere in pace! Per non parlare di incendi, terremoti, inondazioni, eruzioni vulcaniche. Quindi, in teoria, potrebbe accaderci qualcosa di brutto in qualsiasi momento, anche se istintivamente lo scartiamo.

Secondo la leggenda, all’inizio del X secolo, un monaco benedettino, osservando gli operai che rischiavano la vita per costruire un ponte, scrisse un canto suggestivo e commovente che iniziava con le parole: A metà della nostra vita già ci troviamo nella morte. La melodia e l’eloquenza del testo (https://www.youtube.com/watch?v=2YZ_ZDSwYP4) contribuirono a renderlo così popolare anche tra i cavalieri che andavano in battaglia, anche se quattro secoli dopo, il sinodo di Colonia ne vietò l’esecuzione senza il previo permesso del vescovo locale.

La fragilità e la caducità della vita umana sono una sfida che può portare o alla rivolta o a un avvicinamento al Signore Dio. Nella sua Regola San Benedetto, tra gli strumenti delle opere buone, propone esplicitamente: “Prospettarsi sempre la possibilità della morte” (RB 4, 47). E non si tratta affatto di terrorizzare con la necessità della morte, ma di risvegliare un senso di piena responsabilità per la vita, reso possibile solo dalla consapevolezza della fragilità della nostra condizione umana. Questo risveglio non è nient’altro che vigilanza.

È possibile annullare questa fragile condizione umana, sempre vulnerabile alla morte, ricorrendo a vari trattamenti medici, psicologici o economici. D’altra parte, consapevoli della nostra condizione di fragilità, possiamo diventare più sensibili agli altri, concentrandoci su ciò che conta di più – vigilare con tanta attenzione e tenerezza su ogni momento della nostra vita. Così tutto diventa importante e molto più semplice. Ma anche molto più bello, commovente, sublime. Ciò si riflette in modo eloquente nella preghiera finale dell’Eucaristia nel rito siro-malabarese: non so se ritornerò di nuovo a offrire un altro sacrificio sopra di te. È una nostalgia creativa, mistica, trasformante. In alcune sacrestie si trova la raccomandazione al sacerdote di celebrare ogni Messa come se fosse la prima, l’ultima e l’unica (inoltre sembra un monito valido per tutti i cristiani).

La fragilità dell’esistenza umana è un’opportunità per una vita più piena e consapevole. Soprattutto nelle cose più importanti – cioè nei rapporti con gli altri: nell’amore. Proprio nei momenti più fragili della nostra vita possiamo comprendere meglio il suo valore e ciò che è più importante in essa. Il sacerdote poeta Jan Twardowski lo ha espresso in modo magistrale:

Affrettiamoci ad amare le persone se ne vanno così presto
di loro restano un paio di scarpe e un telefono muto
solo l’inessenziale come una mucca si trascina
l’essenziale è così rapido che accade all’improvviso
poi il silenzio normale e perciò insopportabile
come la castità che nasce dalla disperazione
quando pensiamo a qualcuno dopo averlo perso

Non essere sicuro di aver tempo la sicurezza è malsicura
ci toglie sensibilità come ogni fortuna
arriva in coppia come il pathos e lo humour
come due passioni sempre più deboli di una
se ne vanno così in fretta tacciono come il tordo in luglio
come un suono un po’ goffo o un inchino secco
per vedere davvero chiudono gli occhi
benché sia più rischioso nascere che morire
amiamo sempre troppo poco e sempre troppo tardi

Non scriverne troppo spesso ma scrivi una volta per tutte
e sarai come un delfino mite e forte
Affrettiamoci ad amare le persone che se ne vanno così presto
e quelle che non se ne vanno non sempre ritornano
e non si sa mai parlando dell’amore
se il primo sia l’ultimo o l’ultimo il primo

padre Bernard Sawicki: